Come quadranti d'orologio i paesaggi vivono la loro precaria esistenza, eternamente impermanenti. Una sorta di poesia complessa nella sua suggestiva compressione. Daniele De Luca è un artista abituato ad arare la sua terra, piantare, travasare e cancellare, spegnere i suoi boschi, attraversare le sue strade e costruire le sue casette, talvolta inceneritori di fobie che s’intarsiano nello stilema del suo bagaglio di paesaggista della scultura, fatta di legni e di ferri. La solitudine della materia. Lo conosco da molti anni per poter dire che non lo conosco affatto, ma è proprio la contraddizione che ci avvicina alle anime che patiscono la vita e la immortalano seguendo le percosse del fiume, di una corrente che ci ha distribuito come esseri umani. Quindi io vedo il suo paesaggio come un uomo che si è snaturato dal suo significato sottilissimo, il paesaggio fatto uomo che si abbandona e cresce albero, cresce fiore, cresce come un lungo palazzo soffocato che non ha più parte e non ha più la sua grafia suggestiva, quindi ne fa ricchezza di questa sua miseria e allena ossessivamente quel suo pudore di dialogare con la natura. L'alieno che batte come un cuore sopra ai tramonti rossi, talvolta immacolati di nero schiavo, le altitudini basse che articolano i soffusi chiari scuri e ne rimandano luce a schizzi per avverare l'angoscia del solitario ermetico. Daniele De Luca è il suo paesaggio con la barba, la sua tacita osservazione del rumore che la lima come un artigiano e ne riprende il silenzio nella foschia dei cieli, degli inverni che non conoscono primavere strutturali. Quindi e solo quindi...un niente altro paesaggio che rimane precario come l'individuo che ha distillato male la sua uva nera e sanguinosa. Il disagio della vita che permane nell'oceano che si abbattono intorno ai rametti fragili delle parole che restano nascoste. L'artista non sa mai cosa dire nel suo tiranno e rammenta nei sogni quello che è sfuggito da un istinto primordiale. Un paesaggio che non ha amato, per questo nasce l'amore sugli alberi. testo di: Manuela Franco