Se dovessimo lanciare uno sguardo sulla produzione fotografica di Alessandro de Leo, vedremmo una forte accezione formale delle sue composizioni. L’attenzione al dettaglio, dalla sua ricerca e alla sua messa in evidenza, si rivela anche all’occhio profano. Tra i generi preferiti campeggia il ritratto in studio. La sua ricerca si è svolta nell’ultimo anno di lavoro, nel tentativo di giungere ad una sintesi decisa. L’evoluzione della capacità di giostrare la luce nella maniera opportuna ha portato ad una progressiva eliminazione del superfluo. Tutto ciò che era in eccesso è stato rimosso e, se inizialmente sono state messe in ombra solo alcune parti del soggetto e se tutti i toni di grigio erano presenti nelle sue fotografie rigorosamente in bianco e nero, questa volta ciò che Alessandro de Leo ci propone è diverso. La serie presentata offre una visione nuova dei suoi modelli, trattati alla stregua di oggetti. Non è fondamentale capire chi ha posato davanti all’obiettivo di de Leo e non è nemmeno indispensabile discernere se si tratti di un uomo o di una donna. Essenzialmente è difficile riuscire ad individuare il volto del soggetto e riconoscerlo, ma è possibile rivelarne delle tracce, sezioni, dettagli, che si lasciano disegnare dalla luce, proveniente dall’alto, su uno sfondo nero, uno sfondo che sembra quasi inghiottire anche chi è semplice spettatore dell’esposizione. Niente è nitido, difficilmente si riesce a distinguere chiaramente cosa la luce sceglie di svelare. Quasi come un buco nero, il buio invade il nostro sguardo, ma il tentativo di mettere a fuoco ciò che è sulla superficie fotografica non resta vano. È là, la trama riesce ad emergere e una traccia ci dona le coordinate per osservare questi insoliti ritratti. Il nostro sguardo non viene mai attraversato da quello del soggetto, troppo in ombra per poter emergere. Anche quando i volti sono frontali, l’oscurità divora ogni contatto. A regnare sembra quasi una sorta di incomunicabilità con chi è spettatore. Analizzando la tecnica fotografica utilizzata, questa è capace di amplificare il semplice concetto di ‘trama’: la pellicola conserva ancora proprietà materiche ben diverse dalla moderna tecnica digitale. Senza nulla togliere all’evoluzione tecnica, il contatto con quella particolare manualità propria della macchina fotografica analogica e dei procedimenti di sviluppo e stampa in camera oscura possiedono una particolare aura e una dimensione altra. La mostra ci pone davanti una serie di interrogativi che non trovano risposte concrete, ma che, forse, ci spingono a cercare riscontri nel nostro vissuto. Dott.sa Lucrezia Modugno