Dal 24 Maggio al 2 Luglio 2012 è stata presentata a Roma al Macro la mostra “Artisti in residenza: Open Studio”. Carola Bonfili, giovane artista italiana, ha proposto un’installazione semantica e sensoriale “If”. Ho spostato quasi con forza una spessa tenda così da aprire un piccolo varco e sono entrata. Il buio era profondo e totale: non potevo utilizzare la vista, uno degli strumenti fondamentali dell’esperienza dello spazio. Mi assale all’improvviso un profumo intenso di fiori e le braccia e le mani, quasi inconsciamente e come per difesa, si protendono a toccare: un passaggio stretto delimitato da pareti vellutate e morbide, poi plastificate e lisce; voci di bambini che giocano. Tutti i sensi sono risvegliati, ma la mancanza della vista genera in me disorientamento: mi spavento, torno indietro. Il cuore è in gola: mi rendo conto di aver perso ogni riferimento temporale e spaziale; tuttavia rientro, tentando un processo al contrario. E’ la vista, infatti, a determinare i valori fisici dei luoghi: collaborando con gli altri sensi e permettendo la percezione di luci, ombre, colori, porosità, ruvidità, levigatezza, ha un ruolo prioritario nella comprensione dello spazio. L’occhio attiva l’olfatto, l’udito, il tatto, il gusto, portando ad una lettura totalitaria e onnicomprensiva dell’oggetto architettonico. Juhani Pallasmaa, architetto finlandese, nel suo Gli occhi della pelle metteva in evidenza come “le qualità di spazio, materia e scala sono misurate a un tempo dall’occhio, dall’orecchio, dal naso, dalla pelle, dalla lingua, dallo scheletro, dai muscoli. Gli occhi vogliono collaborare con gli altri sensi …” Si assiste pertanto ad una concezione dell’architettura sempre più protesa alle possibilità di esplorazioni plurisensoriali; l’utilizzo, all’interno dello stesso progetto, di materiali e tecnologie differenti, con differenti gradi di colori e porosità, stabilisce sempre nuove e molteplici relazioni tra l’uomo e l’architettura. Nella Daeyang Gallery and House, Steven Holl ci mostra pareti in gesso e pavimenti in granito bianco in dialogo con elementi di colore rosso oppure rivestiti in rame patinato o legno. Nel Masrah Al Quasba Theater, Magma Architect realizza una superficie ondulata che riproduce le dune di sabbia, utilizzando un tessuto che avvolge pareti e soffitti, creando un paesaggio tattile e fortemente iconografico. Nel Dipartimento di Arti Islamiche del Louvre, Bellini e Ricciotti risolvono l’inserimento nella corte preesistente mediante una copertura flottante, flessuosa e quasi tessile. Il progetto di architettura, dunque, sembra essere fortemente caratterizzato da elementi che tendono al coinvolgimento di tutti i sensi e che conducono il fruitore ad un’esperienza individuale e personalistica. Esiste un altro senso dell’architettura, che definirei il sesto senso. Nel 1954 Giancarlo De Carlo pubblica un articolo Case d’abitazione a Baveno nel n° 201 di Casabella Continuità: “Qualche anno fa ho costruito a Sesto S. Giovanni una casa per famiglie di operai … Il progetto si articolava su un cardine che mi pareva sicuro: fornire ad ogni alloggio le migliori condizioni obbiettive di abitabilità e assicurare la più grande possibilità di isolamento. Per questo le stanze di soggiorno e da letto erano state portate verso il sole e il verde, i servizi e i ballatoi a nord sulla strada. Ho passato qualche ora di domenica, in primavera, ad osservare da un caffè di fronte il moto degli abitanti della mia casa; ho subito la violenza che mettevano nell’aggredirla per farla diventare loro casa … ho verificato l’inesattezza dei miei calcoli. Le logge al sole erano colme di panni stesi e la gente era tutta sui ballatoi … per partecipare da attori e spettatori al teatro di loro stessi e della strada.” Poi conclude dicendo: “Conta l’orientamento e conta il verde e la luce e potersi isolare, ma più di tutto conta vedersi, parlare, stare insieme. Più di tutto conta comunicare.” Più di tutto conta comunicare. Questo è il sesto senso dell’architettura: la capacità e la potenzialità di mettere in relazione, di creare rapporti, di gettare ponti. L’architettura non è solo esperienza intimistica e personale; è strumento per la costruzione di una realtà collettiva, incarnazione di vita sociale.