Occhi di oceano in tempesta di Viviana Siviero Catherine Earnshaw: «Vorrei tornare a essere una ragazza, quasi una selvaggia, e aspra e libera, che ride delle offese e non ne impazzisce! Perché sono tanto mutata? perché il mio sangue si agita tumultuosamente per poche parole?» Emily Bronte, Cime Tempestose, La voce si ricorda o si dimentica ancor più di un viso o di un connotato. La voce di un morto ad esempio, evapora con il suo scadere alla vita, peggio di un ricordo ad esso collegato: ciò che resta delle melodie che accompagnano i pensieri condivisi col mondo a voce alta è una sensazione, non la voce stessa che, come la luce, è impossibile da fissare come oggetto fisico. Così, nel mondo dell’arte che tutto vede e tutto può, nell’universo in cui i protagonisti hanno più potere che nei sogni, la voce perpetua, quella infinita che si lega indissolubilmente ad una sensazione incancellabile è affidata ad oggetti iconici, che portano nel cuore tanta forza quanta gliene ha assegnato la tradizione. È la spada quindi ad accompagnare quell’elemento femminile che è da sempre il cuore pulsante della poetica di Alessandra Baldoni; un’artista, una femmina che pratica da sempre l’arte della poesia instancabile, fatta sia di parola, sia di attimi di luce che si imprimono sulla carta fotografica al ritmo di un cuore gonfio di mondo, che viene liberato per divenire immagine ed essere così capace di sussurrare al vento la storia di eroine che non hanno nome e allo stesso tempo ne hanno infiniti. Si tratta di donne i cui occhi, fin dalla nascita, sembrano avere il colore dell’oceano in tempesta; coraggiose ed agguerrite che per destino ma soprattutto volontà sono portatrici di storie intense di cui non si conosce né principio né sviluppo, ma semplicemente la morale, che si palesa nell’affermazione del sé al di là di qualunque convenzione stereotipata. Le ragazze di Alessandra Baldoni sembrano fuoriuscire da un moto di forza pulsante, come belle addormentate che non accettano di essere svegliate da un Principe, né che ribaltano ironicamente la storia; semplicemente preferiscono tirarsi fuori dai guai da sole con fatica, passando attraverso giudizi e sofferenze per diventare padrone della loro vita ma soprattutto accelerare l’evoluzione, attraverso la creazione di un precedente che sia di ispirazione. Catherine Earnshaw, Lady Chatterley, Emma Bovary, Frida Kahlo, Hannah Arendt, Simone de Beauvoir, Louise Bourgeois, Gertrude Stein: eroine letterarie alcune di natura reale, altre immaginarie, capaci comunque di trainare il cuore fin dove possa vedere una via d’uscita per continuare a battere. Donne che sembra di sentire disquisire sulle nuove forme di schiavitù psicologica dell’oggi, in cui le catene sono state sostituite dalle promesse di successo e che credono di essere emancipate per l’uso disinibito che sembrano fare del proprio corpo. Le emozioni innescate dagli scatti della Baldoni raggiungono queste rive: non si tratta di moralità ma di fatti; le donne guerriere messe in scena dall’artista sfilano fra stonature di colore variegate ora accese e tirate, ora modulate ed armoniche, fisse in posture fiere a ricordare che ciò che viene alla luce spesso non rappresenta la totalità delle cose. Ognuno infatti è invitato a percorrere la propria strada. Le donne guerriero di questa serie non sembrano intenzionate a redimere una categoria, ma piuttosto a salvare se stesse e la propria dignità, ricordando a tutti che sono un esercito: la loro voce è indimenticabile perché ha il suono della spada che fende l’aria e si scontra con altro metallo, che si conficca in una roccia, nella terra o nella carne, se strettamente necessario. Senza offesa, ma per ricordare che la vita va difesa con coraggio e forza, a suon di sacrifici. Oltre a questo aspetto epidermico, le immagini di Alessandra Baldoni possiedono un giardino segreto, collegato al senso stesso di crescita: le sue ragazze sembrano essere uscite da poco da un bosco di favola nel quale si aggiravano con mantelli cremisi, in attesa che un destino si palesasse per loro e con esso si costituisse una ragnatela di reazioni. Le loro mani sembravano non voler abbandonare quel filo rosso che le legava a quell’uovo purissimo che si era schiuso partorendole; un filo che in realtà le collegava ad un destino mitologico che gli occhi giovani ed inesperti non riuscivano a distinguere nel fitto del sottobosco. Bambine che coprivano le punte delle loro dita con ditali rilucenti e solidi perché temevano di possedere artigli che potessero ferire. Col tempo e le esperienze tutto questo si è trasformato in maturità e una parte in più di quel filo mitico è stato percorso: basta con l’accettazione di una tradizione che le ghettizza per un’origine inventata dall’uomo che le ufficializza come appendici, giustificando il fatto con una storia maschilista che le vede nate da un umile frammento d’osso, che le costringe antropologicamente all’adattamento. Quelle di Alessandra Baldoni hanno spazzato via la favola per recuperare un ruolo di anime elette che camminano fiere al di fuori della consuetudine, forti di una scintilla primigenia che è nota come anima selvaggia. Qui vediamo prendere vita nuove favole che si sciolgono in biografie immaginarie non specificate, capaci di nutrirsi della melodia poetica di chi le ha precedute coraggiosamente nel mondo reale o in quello della parola inventata; attraverso la loro immagine epica esse mantengono viva quella voce a perpetua memoria, schiacciando il maschile in una condizione perdente in maniera sottile e geniale, mostrandolo come la cenere che sopravvive fino alla prima brezza, dopo una distruzione insensata. Al contrario il femminile dà sfoggio di sé da una posizione temporale in cui è evidente una maturità acquisita sul campo: è solo affrontando le cose che si fa la conoscenza di quella forza che altrimenti si ignorerebbe. «Vola solo chi osa farlo» dicevano gli amici gatti di Sepulveda alla gabbianella Fortunata che non voleva lasciarli: le donne guerriere della Baldoni hanno fatto la conoscenza della propria natura e sanno che un gabbiano non potrà mai e poi mai sfracellarsi al suolo, così come un pesce non potrà mai e poi mai annegare. Esse dimostrano piuttosto il coraggio che è insito in ogni essere sensibile che è nato per osare e vincere, per credere nel proprio corpo magico che si merita rispetto perché di natura prometeica. Accostando uno sguardo attento su ogni volto scopriremo voci cantilenanti e fiere, profumi di natura selvatica e primigenia, rituali dedicati alla magia del grano e della luna; tutte cose che invitano a ripensare alla propria vita, al proprio corpo e alla propria anima che sarà tanto migliore quanto avrà fatto tesoro di quelle qualità ragazzesche, selvagge, aspre e libere che ridono delle offese e non se ne curano.