M I T D E N K E N ...Pensare insieme con. Mettersi alla sequela di un pensiero, ma dialogando con esso, dando il proprio contributo attivo, pensare con per essere con... Un pensiero per Alessandra Baldoni Non essendo un critico e nemmeno uno storico dell’arte mi prendo la libertà di fare la parte di colui che osserva e si abbandona per un attimo nel mondo di Alessandra con lo stesso atteggiamento di chi entra nelle parole scritte di una favola o nei percorsi labirintici di un sogno. Mi guidano le parole dell’artista quando scrive di se stessa: “ Vorrei essere la stampella emozionale in cui gli occhi degli altri appendono i loro sentimenti, una specie di ufficio storie smarrite in cui ognuno può trovare qualcosa di sé ”. E’ un messaggio forte che mi arriva dai margini di congiunzione tra le parole e le immagini che sto osservando e che in gran parte avevo visto in una sua bella mostra l’anno scorso a Savignano. La breve citazione iniziale (Mitdenken) certamente non basta a rendere la complessità del progetto creativo di Alessandra, ma è pur sempre un punto di partenza per cercare di avvicinarsi un poco alla sua poesia, al suo modo di pensare e di sentire il mondo attraverso la parola scritta e l’immagine fotografica che è scrittura con la luce. L’immagine qui è racconto visivo che non può esistere senza l’articolazione del vissuto narrativo della parola scritta a tal punto che entrambi i linguaggi nelle sue opere coesistono inseparabili, come un fortissimo nodo che solo la leggerezza e l’emotività del sentire di chi guarda possono lentamente sciogliere. Alessandra mi scrive: “Mi interessano le immagini simili alla poesia, immagini che parlino sottovoce senza bisogno di urlare o attaccarsi a forza agli occhi che dicano qualcosa ma non tutto, che lascino un mistero e facciano intuire un segreto: immagini cortocircuito/emotivo, piccole imboscate al cuore che spingano l’osservatore a frugarsi l’anima, a risolvere un’inquietudine”. E’ un frammento significante della sua poetica, una parte profonda di se stessa che si svela agli altri, a coloro che guardano, per renderli partecipi di quell’enigma che è l’arte e in questo caso si configurano all’immaginario altrui, lasciando aperte le infinite risposte possibili a quei misteri che rimangono irrisolti in ognuno. C’è infatti una generazione di giovani artisti a cui anche Alessandra appartiene alla quale va il merito di aver dato il contributo attivo di un’arte che non si compiace del proprio riflesso estetico nello specchio dell’opera perché prende la vita e non la riproduce, ma la ricrea. Non sempre gli artisti amano essere chiari quando parlano o scrivono sul senso della loro attività e pochi, veramente pochi, sono quelli che sanno scrivere i loro pensieri senza alterarli. Qui invece il pensiero corrisponde alle opere di Alessandra in modo indissolubile. Sotto questo aspetto, c’è in lei forse, la più importante specificità dell’arte che riguarda l’artista come parte fondante la propria opera sino al punto da confondersi con essa nel rapporto tra l’arte che è la vita e la vita che è l’arte in un momento in cui la contemporaneità sembra volere farne a meno lasciando spazio ad altri disvalori. “Sono solita dire che scrivo “piccole sceneggiature per uno scatto”, la scrittura è il diario di carta da cui si animano le visioni” e ancora: ”Sono sostanzialmente una narratrice, amo le storie, le cerco, le rubo, le mescolo, le scompongo”. Questa dichiarazione d’intenti corrisponde a una particolare figura di artista che si muove non solo dentro ai linguaggi della scrittura e delle immagini, ma anche in quelli performativi della messa in scena di persone e cose immerse in luoghi di profonda memoria tanto cara a scrittori come: Borges, Calvino o Barthes, quindi dentro ai saperi della narrativa e della filosofia, di una cultura che ha segnato l’arte del Novecento ed è ancora presente nelle poetiche delle ultime generazioni di artisti. L’arte della scrittura è per Alessandra: “l’ossatura che sostiene le immagini” ed è il pretesto per creare una circolarità di senso dove grandi e a volte minime sceneggiature contengono figure femminili provenienti da mondi onirici, come fantastiche apparizioni, estranee alla realtà che ci circonda, ma non al mistero dell’Io profondo. Per quella bellezza voluta e inquietante si “attaccano gli occhi”, si insinuano nelle fessure dell’anima, con la stessa cadenza magica delle filastroche che si imparano nell’infanzia, e anche a volte ritornano, nei momenti più impensati, come un talismano che ti difende dagli smarrimenti della vita rispetto al mondo reale. Un ultimo breve pensiero per Alessandra riguarda il senso del dubbio e dell’inganno che, penso, risieda sempre nelle sue opere. Se è vero che ogni elemento costitutivo della scena rappresentata sembra rimandare a un pensiero quasi elegiaco apparentemente favolistico, è anche vero che dopo una più attenta lettura si entra nell’area dell’incertezza nel voler dare significato alle cose rappresentate. Ancora una volta si è portati nel labirinto dei ricordi che vengono così inaspettati e improvvisamente rimossi in noi stessi a testimoniare che la storia non è finita, anzi non vuole finire nella sola percezione visiva di chi osserva ma continua dopo e aperta a ulteriori pensieri e a ulteriori immagini. Ed è forse quest’aspetto emozionale che rende l’insieme del suo lavoro analogo a quello di una scrittrice e non mi stupirei se nei prossimi anni Alessandra Baldoni scriverà un racconto con poche immagini a compendio. Non sarei sorpreso per nulla. Aspettiamo… Mario Cresci