Queste opere fanno parte del lavoro che ho presentato durante la tesi di specializzazione in Pittura. La scelta dell’argomento era il male, è nato leggendo un articolo che trattava “Le spose bambine”, barbarica usanza che in molte parti del mondo viene purtroppo ancora praticata; più di 60 milioni di bambine dai 6 ai 12 anni vengono date in sposa a uomini di 60, 70 anni. Leggevo e guardavo i loro volti, i loro occhi spenti senza ormai nessuna speranza, pieni di rassegnazione, la loro infanzia cancellata da una cultura arretrata e per colpa di adulti che a loro volta sono stati i destinatori di queste incivili tradizioni. Nella stessa sera lessi un altro articolo che parlava dell’impiccagione di due giovani trafficanti di droga in Iran, a Karaj vicino a Teheran. Le fotografie dell’impiccagione mi colpirono subito per la giovane età dei ragazzi che potevano avere al massimo 16, 17 anni. Non comprendo e non approvo l’uso della pena di morte ai giorni nostri tanto più che in questo caso si trattava di due ragazzi. Proprio non riuscivo a trovarne il senso, qualsiasi cosa avessere fatto di male. Stampai delle foto senza pensare a cosa ne avrei fatto; poi, alcuni giorni dopo, ritrovandomele tra le mani, decisi di provare a dipingere i loro volti mettendovi dentro tutti i miei pensieri, le mie domande e la mia rabbia. Dipinsi in maniera molto rapida, con una pittura liquida, non c’era tanto da pensare, volevo solo mettere sulla tela i loro volti. Ne sono nati due quadri, “Le Spose Bambine”, rappresentate al centro da una bambina col viso coperto da una stoffa rossa e legata da un fiocco pure rosso, come fosse un pacco dono, perché è quello che in effetti queste bambine sono: dono infiocchettato. In “Giovane Attesa”, invece ecco i due giovani in attesa di essere impiccati, con gli occhi coperti da una benda. La raffigurazione era già molto esplicita, sicuramente più che nelle “Le Spose Bambine”, qui però ho voluto anche lavorare sul titolo, far sì che esprima quel senso di amarezza che provo quando guardo quell’immagine. Da quel momento è stata tutta una ricerca pittorica, figurativa verso il male e in particolare verso le vittime. Parlo di vittime, nei miei quadri, tra uomini e animali ci sono solo vittime, non parlo mai di carnefici. Mi son chiesta… sono io il carnefice? Che li espongo, li ricerco, li segno, li contorco? Che faccio vivere il loro mal’essere? Guardavo l’uomo ed era semplicemente carne? Corpi, masse da studiare e da dipingere? Guardando e riguardando ciò che avevo prodotto, mi sento di dire di non averli trattati come semplice carne, sono uomini con la loro storia a cui era successo qualcosa di orribile. Tutto il lavoro pittorico si è svolto consecutivamente, i quadri sono nati uno dopo l’altro, quasi come se si richiamassero. Questo legame tra le varie opere (28 in tutto) è risaltato chiaramente al momento di scegliere con il professore le opere da portare alla Tesi. Osservandoli esposti uno di fianco all’altro (tolte 4 tele che effettivamente potevano essere sacrificate senza pregiudicare niente) è apparso chiaro che le tele rimaste sono come un “umicum” frutto di un percorso, di una ricerca. Certo ogni tassello di questo percorso vive di una sua vita propria e può essere considerato anche separato dagli altri. Rimane il fatto però che insieme le varie tele sprigionano quella forza di denuncia che io voglio esprimere rappresentando le vittime. Non ho voluto fare retorica con questo lavoro, né tanto meno esprimere pietismo o vittimismo ma solo denuncia. Ho tralasciato la tecnica, ho messo da parte “il bel quadro” “la bella pittura”, ho sentito il bisogno di rappresentare con una pittura rapida, veloce, poco precisa il mal’essere, corpi che si sgretolano, che si sfaldano, che sfuggono, evanescenti e pesanti allo stesso tempo. La denuncia del male dell’uomo, del mal’essere. Ogni cultura ha la sua propria visione del male e il suo modo di giudicare. Esiste però un mal’essere che pervade l’uomo, e che è comune ad ogni uomo e ad ogni cultura: è quel tipo di mal’essere che si fa fatica a guardare, anche se ai giorni nostri la tv ci ha abituati a guardare qualsiasi cosa. Però di fronte a questo tipo di mal’essere siamo distaccati, è sempre qualcosa che non tocca noi, che tocca gli altri. Qualcosa che succede in altri luoghi con altre persone, mal’essere che viene guardato, studiato, vivisezionato da qualunque programma, viene quasi ripulito, abbellito, ironizzato, infiocchettato per farci ingoiare il “boccone amaro”. Ma se ci fermassimo di più a pensare a tutto questo male ci renderemmo conto che è vicino a noi, che poco distante da noi ci sono soprusi, violenze, carneficine. L’uomo fa il male e lo espone senza vergognarsi. Per questa tesi ho dovuto guardare molte immagini passate e presenti, che raffigurano il male che l’uomo procura all’uomo. Non è stato semplice, è stata quasi una violenza, soprattutto guardando le fotografie delle torture fatta dai soldati americani ai prigionieri irakeni. Il primo impatto sono stati i corpi torturati, ma quello che mi ha scioccato è stato vedere i volti sorridenti dei carnefici in posa vicino a corpi ormai irriconoscibili di uomini prigionieri. Farsi fotografare insieme al proprio trofeo, come se fosse un animale da safari. Farsi fotografare col proprio trofeo di caccia, ecco cos’erano quegli uomini…Trofei, come le spose bambine sono un pacco dono. Il mal’essere dell’uomo fa sì che il male stesso dell’uomo sia l’uomo stesso, il suo stesso carnefice. E in tutto questo l’arte che c’entra? C’entra…,il male c’è sempre stato ed è sempre stato raffigurato in ogni epoca con modi diversi perché in ogni epoca il male si presentava in modo diverso. In molti casi il dipinto muove dentro l’uomo forti emozioni, più di tante immagini viste attraverso la tv. Questa è la forza dell’arte, far pensare, riflettere; il filo che lega tutti gli artisti, che tratto in questa tesi, è che con semplici immagini di volti e corpi riescono ad esprimere attraverso il segno, i colori, le sfumature, gli spazi il mal’essere dell’uomo e riescono a far sì che il fruitore non guardi e basta, ma osservi e si emozioni davanti all’immagine. Il concetto arriva anche attraverso una sola immagine, ed ecco che l’uomo non ha più bisogno di essere bombardato di immagini e suoni per comprendere il mal’essere che lo circonda.