Nel cammino della nostra esistenza prestiamo attenzione alle piccole cose apparentemente insignificanti? Quante volte ci soffermiamo ad osservare e a ridefinire l'infinitamente piccolo? Spagnoli do it better. Le immagini della nuova cosmogonia di Gianpaolo Spagnoli si richiamano direttamente alle forme della natura e della biologia: le cellule, i microbi, i virus e i suoi processi di riproduzione e divisione sono il punto di partenza di una ricerca che non è di tipo analitico scientifico ma formale ed estetico. Quest'ultimo termine viene elaborato in una doppia accezione: nell'attuale senso di "bellezza artistica" e in secondo luogo risalendo fino all'etimo greco ^5;O88;`3;_2;_1;`3;_3;`2;, dove l'estetica è la percezione della vita attraverso i sensi in netta opposizione all'an-estetico, la negazione della sensorialità e quindi della vita. E proprio l'eterna contraddizione tra vita e la morte sembra essere il punto focale di un discorso incentrato sulle forme microscopiche siano esse benefiche o malefiche. Nelle superfici uniformi, traslucide fluttuano le forme biomorfe circolari e oblunghe ispirate alle fotografie scientifiche del mondo mono e pluricellulare. Questa ricerca ha illustri precedenti storici e si iscrive nel novero della tendenza biomorfa che ha segnato una parte dell'arte del Novecento e di cui il grande padre è Wassily Kandinsky. Le sue forme astratte si rifacevano nella loro indeterminazione alla musica e alle note (Spagnoli è anche musicista, un caso?) formando delle figure che sembravano amebe ingrandite su vetrini con l'ausilio di rudimentali microscopi. Ora agli inizi del XXI secolo la percezione della realtà non passa più attraverso queste obsolete strumentazioni: nella visione dell'artista agisce quel "filtro tecnologico" che è ormai alla base della rappresentazione della nostra civiltà. Le immagini sono ispirate alle fotografie digitali al microscopio, come il titolo di una serie di opere esposte in mostra ben illustra. Dunque Spagnoli conferisce alla sua ricerca quella "quota di sorvolo" di vichiana memoria, dove ogni fenomeno si ripete in una spriale temporale ma con presupposti sempre nuovi e aggiornati. Ora l'occhio dell'artista sembra posarsi sulla lente di un potente microscopio tecnologico, in piena sintonia con il nostro tempo. Infatti le immagini virtuali e digitali ci vengono restituite con una "lucidità di visione", una iper-oggettività da far sembrare talvolta i dipinti di Spagnoli più fotografici della fotografia, più reali della realtà, quasi l'artista avesse intrapreso quel viaggio fantascientifico viaggio descritto nel film e nel romanzo Fantastic Vojage di Isaac Asimov, dove un equipaggio di scienziati in un sommergibile miniaturizzato viene iniettato nel corpo di Jan Benes. Allo stesso modo nelle opere l'artista sembra aggirarsi attraverso cellule, filamenti, tessuti, virus e globuli, fluttuando e osservando l'organismo con la stessa curiosità dell'equipaggio del sommergibile. In questo girovagare incontriamo un'opera dall'inquietante titolo di Virus, che ci riporta però alla realtà dell'esistenza: quasi a ricordarci che dietro a quelle forme biologiche si potrebbero nascondere agenti virali antagonisti alla specie umana. Del resto i continui allarmi lanciati contro le varie influenze provenienti dai quattro angoli del mondo, dalla SARS all'aviaria fino alla più recente A/H1N1, la tematica dei virus e delle epidemie sembra essere ritornata, dopo la grande diffusione medievale, l'inconscia paura collettiva di un mondo sempre più sterilizzato e automatizzato, non più abituato a convivere (o a soccombere) con esse. Infatti in Hiv, Spagnoli affronta il delicato tema della "nuova peste" di fine millennio sottilmente esorcizzata dai moderni cocktail di farmaci: questa riflessione vuole indurci a una nuova consapevolezza sociale sulla malattia. Accanto a questo tema l'artista sembra muoversi in direzione opposta in Mitosi: il processo di riproduzione di una cellula eucariote attraverso la sua scissione in due cellule identiche richiama alla primigenia rappresentazione della vita e dei processi vitali e della loro intrinseca "bellezza". Cromosony/antropology invece è un arcano e oscuro omaggio alla musica di Charlie Parker, jazzista considerato uno dei padri del jazz bepop. in Gene uno, gene due, gene, gene tre il titolo allude chiaramente alla presenza di tre cellule con un filamento organico mentre in Raptus avviene l'incontro-scontro tra due particelle dando vita a una vera e propria esplosione molecolare. I processi della vita diventano così un fatto estetico da ammirare e da rielaborare: infatti tendiamo ad escludere le cose di cui conosciamo l'esistenza ma che non percepiamo durante la nostra qotidianità. In "CCL (Cellular Colture Laboratory)" l'effetto di spugnosità celebrale delle cellule che si dispongono in massa paiono coltivate sulla piastrina in omologia con la tavola, dove la levigatezza del fondo ha una resa quasi vetrosa, così come in Flu-cellulare, dove nel titolo si ironizza sull'abitudine smodata di usare il telefonino e sulle sue implicazione sanitarie. La ricerca artistica e formale partendo dalla biologia si muove concettalmente in direzione dell'antagonismo vita-morte e sul suo continuo rinnovamente presente nel mondo microcellulare, due aspetti che sono una realtà contigua e interdipendendente quasi speculare nella trattazione dell'artista, quasi senza una differenziazione. E quale più forte contrasto tra la perfezione di questi virus, di queste influenze, e di questi morbi e il loro terribile significato per la nostra società? E che il loro spostamento semantico in direzione dell'estetica non sia un modo, in ultima analisi, per esorcizzarli?