Mauro Kronstadiano Fiore
Artista, Bologna, Italia, iscritto 13 anni fa
TESTO CRITICO DI GIOVANNI MONTI
“Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari, dei fiumi, delle stelle; e passano accanto a se stessi senza meravigliarsi”
Sant'Agostino
Mauro Kronstadiano Fiore, con questo recente progetto artistico, ci invita a condividere le emozioni di una sua nuova fase esistenziale attraverso le pagine illustrate di un diario molto intimo, eppure misteriosamente universale, sul quale ha annotato soprattutto “impressioni”.
Questo termine, che siamo soliti associare a qualcosa di impalpabile e magari accessorio alla nostra routine, per lo più concentrata su abitudini comode e punti di vista sclerotizzati, denota in realtà per alcuni il nutrimento più prezioso e vitale dell'essere umano, più ancora necessario del cibo, se non perfino dell'aria.
I sensi, parlando di quelli fisici ma anche e soprattutto di quelli sottili, di un artista, come di qualsiasi essere umano spinto dalla principale pulsione che ne dovrebbe contraddistinguere la natura, quella cioè del divenire, del cercare di essere quello che ancora non si è, si acuiscono e affilano ovviamente di fronte a stimoli nuovi, sconosciuti ed imprevisti, e questo è lo “stato estatico” dal quale Mauro ci trasmette il suo addentrarsi e fondersi nella nuova città dove si è da poco stabilito, che noi al contrario abitiamo da tempo forse immemore.
Non una selva oscura dove smarrire la via, piuttosto un paese delle meraviglie, non a caso già frequentato dall'autore in altre sue opere riferite al mondo parallelo di Lewis Carrol, dal quale attingere esperienze possibilmente contigue alla stupefazione del sogno lucido e alle illuminazioni sapienziali.
Ciò che risulta evidente scorrendo la cronologia dei disegni via via realizzati durante le soste di un “Gran tour” al flusso del quale il protagonista sembra offrirsi senza resistenza, è la progressiva rarefazione delle strutture architettoniche circostanti il personaggio centrale, che lasciano il posto via via a presenze sempre più oniriche e normalmente invisibili, come svelando, attraverso la trasparente dissolvenza dei muri e dei riferimenti ambientali, la vera trama che collega segretamente le infinite vicende che animano ogni angolo della stessa città, ma in un universo di più elevata frequenza vibrazionale rispetto a quello apparente nella terza dimensione.
Frammenti, geometrie, colori sparsi, prevalentemente il blu e il violetto dell'energia pura, compaiono descrivendo percorsi bizzarri e armoniosi, forse tracciati nei ricordi dell'inconscio collettivo delle cittadinanze avvicendatesi da tempi remoti nel territorio fisico e in quell'altro che non sapremmo nominare, speculare e sfuggente a qualsiasi mappatura se non a quella animica.
La trasmutazione, attuata da Kronstadiano per rendere evidente ciò che mai lo sarebbe, potrebbe definirsi mesoterica, realizzata mantenendo l'equilibrio e il varco tra differenti livelli della propria percezione e anche di quella di chi riesca ad entrare in risonanza con le immagini create, o meglio scaturite, dal processo alchemico.
E non per caso l'omino (inteso in senso archetipico fiabesco, tipo l'omino di zenzero, non certo diminutivo) che posa il suo sguardo a volte spaesato ed altre ironico su ciò che incontra e attraversa, è dotato di un singolare copricapo ad imbuto, come potesse introiettare le emozioni attraverso la coscienza stessa, trasmetterle al corpo senza lasciare che la mente le filtri troppo, e infine tradurle nel gesto pittorico e illustrativo, che evoca lontananze non soltanto infantili, ma soprattutto innocenti e libere infatti dal controllo e dal confronto con la razionalità.
Così come Jan Jaques Rousseau cercava tregua e rigenerazione dagli affanni e dai conflitti nelle “Passeggiate di un sognatore solitario”, allo stesso modo questo sensibile artista si immerge in un vagabondare senza apparente mèta se non la scoperta del meraviglioso e la privilegiata sperimentazione del “fuori” compiuta, e quindi anche compiuta nell'altra accezione del termine, completata, senza mai perdere il collegamento col “dentro”, mantenendo attivo quel tipo privilegiato e raro di attenzione che Gourdjieff raccomandava come costante “ricordo di sè”, indispensabile per non attraversare la vita senza riuscire mai a svegliarsi davvero.
Giovanni Monti
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