«I ricordi non si spostano mai dai luoghi che li hanno generati, e quando si torna, loro sono lì. Ti hanno aspettato per tutto il tempo e solo ora che sei tornato riesci a “vederli”, a nessun altro sono visibili e a nessuno si lasciano raccontare. Ti hanno aspettato per anni e adesso che sei tornato a loro , ti prendono per mano e ti riportano al momento dell’accadimento dei fatti ti ridanno le stesse emozioni, e smettono di essere ricordi ridiventando vita mentre tu, ridiventi ciò che eri. Il viaggio comincia da questa strada e ognuno inizia dalla propria, un piccolo percorso di grandi ricordi fatto di persone, profumi, rumori, voci, immagini, atmosfere sempre presenti, nonostante. Ogni casa una famiglia, ogni nome un soprannome, uno scutmàj appunto, che era al tempo stesso indice di confidenza e rispetto profondo, strumento di riconoscibilità e prova di un rapporto personale. Lo scutmàj era un valore aggiunto, che si perderebbe nella traduzione, come per tante espressioni dialettali. Perché, a proposito di dialetto, “vòt mèter” ricordare non con i veri nomi Ghéli, Fâni, Cina, al Dóca, al Grîš, Gnéc e Pîpo. Progetto, testo e intervista: Gian Carlo Bonetti Fotografie : Samanta Braga e Mauro Gilioli