La mia ricerca sul corpo nasce dall’esigenza di riflessione sull’identità e non poteva che partire dall’autorappresentazione, sia perché funzionale dal punto di vista metodologico ed espressivo che per la necessità d’indagine introspettiva, prerequisito per la conoscenza dell’altro. Non si tratta di mera autorappresentazione, quindi, ma di una metodologia che, partendo dal sé, analizza temi universalizzabili. Se in ambito scolastico e accademico utilizzavo tecniche pittoriche e di disegno finalizzate all’autoritratto, oggi trovo più congeniale l’utilizzo della macchina fotografica. Ciò mi permette una più veloce raccolta di un maggior numero d’immagini, che archivio come “foto-appunti” e utilizzo in base alle esigenze espressive e stilistiche del tema che, di volta in volta, decido di affrontare. La maggior parte delle immagini fotografiche, dopo eventuali opportuni ritocchi di grafica digitale, è stampata su tessuto per agevolare successivi interventi grafici, cromatici e strutturali. Ciò mi consente di rielaborare l’opera anche dal punto di vista tridimensionale attraverso rigonfiamenti che, di fatto, appaiono come bassorilievi. I corpi, imbastiti, imbottiti e trapuntati, diventano sfondo di accadimenti, di racconti. Campi di battaglia della vita quotidiana prendono corpo mostrando ferite e suture. La tecnica del cucito, oltre a riportarmi alle origini, mi è parsa la più efficace per esprimere alcuni concetti. L’imbastitura rimanda alla progettazione, pianificazione ma anche provvisorietà della vita così come il rammendo-sutura è unione, legame e riparazione, colma i vuoti e guarisce. Come nella vita, anche nell’arte cerco di progettare, modificare e realizzare i miei piani tuttavia, non potendo cambiare il corso degli eventi, spesso imprevisti, cerco un mezzo per guarire dalle ferite che essi provocano, correggo gli errori, cambio direzione. Quando questo si rivela impossibile, trovo un pretesto che mi consenta di accettarli. La sutura sintetizza l’idea di ferita, di dolore ma anche il rimedio, la cura che, con il tempo, consentirà di guarire, di rielaborare, fino all’accettazione, l’inevitabile sofferenza. Dall’imbastitura al rammendo, passando attraverso imbottiture e rattoppi, come una sarta, uso spilli, ago e filo, taglio e cucio tessuti, spesso riciclati, con l’intento di trasformare, fortificare e rigenerare ciò che sembrava inerme; come un chirurgo incido, eseguo trapianti e suturo le ferite. Non sono né l’una né l’altro ma, come artista, mi sento chirurgo dell’anima che opera nella sartoria del mondo.