TROLL
di Cristina Petrelli
Il quadrante di un orologio percorso da fenomeni atmosferici ed ombre fugaci.
Una lancetta che avanza veloce.
Lo scorrere del tempo è protagonista di Troll, video di Armando Fanelli.
«Cos’è il TEMPO» scrive l’artista «è solo forse una convenzione, un metodo di calcolo che ci siamo imposti per definire la nostra esistenza, per giustificarla e motivarla? O è un mostro che ci divora e ci consuma legandoci indissolubilmente all’impermanenza in questo splendido pianeta chiamato Terra? E che cos’è il Tempo in un video? È una variabile Essenziale, un elemento che ne rende possibile l’esistenza. Il video, come la nostra stessa esistenza, si nutre di tempo, ha bisogno di frame che si susseguono e che per essere fruiti chiedono tempo. Il video è legato al tempo per essere girato, legato al tempo di montaggio, è legato anche al tempo di fruizione. Addirittura nella post-produzione il tempo vive in parallelo una nuova essenzialità; il tempo normale, concreto, necessario al girato, viene stravolto nella fase di editing. Si potrebbe creare una biografia partendo dalla morte di un personaggio, e nel video il tempo esistenziale sarebbe di secondo grado rispetto al tempo del video che scorre inesorabile mentre lo osserviamo. Insomma il tempo non si può escludere. Nel video il tempo si archivia nel tempo, e prende altro tempo per essere “consumato”. Oggi il tempo ha raggiunto grandi velocità, tutto è più effimero e divorato dal pensiero. Non ci si ascolta più … e avere tempo per un video, riuscire a restare immobili in ascolto di un’opera video, non sempre è possibile. »
Quindi TEMPO come soggetto dell’opera, ma anche come essenza stessa del medium utilizzato. Nell’unione di questi due elementi prende corpo la riflessione di Fanelli sulla preziosità del tempo e sull’uso che se ne fa. L’uomo non appare mai, è soltanto evocato e così l’attenzione si sposta dall’opera al suo fruitore.
È l’osservatore che sceglie di vedere questo video e di impiegare in questo modo il proprio tempo. E mentre contempliamo le lancette che scorrono inesorabili, sul quadrante si riflettono nubi e cielo. Interferenze, come nel Troll “informatico”, che aprono prospettive interpretative. Ed è possibile riflettere sull’etimologia stessa della parola latina tempus, come ci aiuta a fare Umberto Galimberti in “Parole Nomadi”, in cui si uniscono cronologia e meteorologia. Nelle lingue neolatine, diversamente da quelle romanze, esiste un termine unico per indicare il tempo, sia cronologico che atmosferico. E questo racchiude tutta la saggezza dell’antichità dove, ben si sapeva che, i due fattori erano strettamente legati fra loro e non era possibile svincolare il tempo “umano” da quello “naturale”. Già il termine greco Kairós «segnala quella mescolanza opportuna che ciascuno può riconoscere sia nel tempo atmosferico, sia nel tempo che regola le azioni degli uomini che sono praticabili solo se si perviene a quella qualità dell’accordo che rende praticabile, tra i diversi, un’azione comune. Oggi la tecnica, il cui “fare” prescinde dal paesaggio, dagli usi e costumi, dalla qualità del luogo, dal suo clima, dalla natura degli abitanti, ci ha resi spaesati. E lo Spaesante, che Heidegger e Freud chiamano Unheimlich, ci ha consegnato a una spazio senza patria (Heimat), senza alcunché di familiare (heimlich), e a un Tempo che non è più miscela di opportuni elementi, ma incessante sequenza di istanti divorati in quell’ad-tendere che è un attendere la morte.»1
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1 GALIMBERTI U., Parole Nomadi, Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, 1994.
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