La storica Calci in provincia di Pisa ...
Oggi la Certosa ospita quindi due distinti musei: il Museo Nazionale della Certosa Monumentale di Calci e il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa. Le due istituzioni museali sono nate in tempi diversi, appartengono a enti pubblici distinti, sono collocate in parti differenti del complesso e hanno due diversi profili tematici e didattici. Tuttavia le loro vicende e collezioni, apparentemente così diverse, si intrecciano indissolubilmente all’affascinante storia del grande edificio che le custodisce.
La visita del Museo Nazionale è un suggestivo viaggio nel mondo dei certosini, alla scoperta della vita solitaria che vi conducevano, fatta di rigore, meditazione e contemplazione, in ambienti che ancora oggi stupiscono per sfarzo, magnificenza e splendore dei decori. A cominciare dalla verde corte d’onore, proseguendo con la chiesa rivestita di appariscenti affreschi, le numerose cappelle per la celebrazione della messa individuale da parte dei padri, il monumentale chiostro grande, l’austera cella, il chiostro e la cappella del capitolo per le riunioni dei padri, il grande refettorio per i pranzi domenicali, la ricca foresteria per le visite del granduca e l’annesso chiostro su due livelli; infine, nel corpo di fabbrica staccato, l’antica spezieria per la produzione e vendita di medicinali.
Il percorso di visita del Museo di Storia Naturale si snoda all’interno della Certosa nei locali più “umili”, quelli utilizzati dai monaci conversi nei lavori quotidiani: cantine, magazzini, frantoio, falegnameria, fienile e così via. Questi locali riprendono oggi nuova vita ospitando le prestigiose collezioni del Museo, frutto di oltre 500 anni di storia. Si tratta di collezioni uniche per importanza storica e scientifica, che comprendono reperti di zoologia, paleontologia e mineralogia, oltre agli animali vivi ospitati nel più grande Acquario d’acqua dolce d’Italia. La presenza dei due Musei all’interno del complesso della Certosa ne fanno certamente una realtà unica nel panorama nazionale, un luogo d’eccezione dove stupore e incanto si mescolano a scienza, storia, arte e natura.
La torre di Caprona
La torre di Caprona
La torre di Caprona si erge sulla sommità di una collina quasi completamente consumata da una cava. Recandosi da Pisa verso il monte Serra per la SP. 2 vicarese è impossibile non rimanere colpiti dalla torre che sovvrasta, in un'irreale precario equilbrio, una sottostante cava. La torre è quel che resta di un antico castello che dominava la valle dell’Arno fino a Pisa e alla foce. Oggi versa in condizioni fatiscenti, ma nonostante il degrado, la sua posizione sull'orlo di un precipizio scavato dall'uomo,la rendono una curiosità paesaggistica di forte impatto.
Per precisione storica si deve citare il vero nome, Torre degli Upezzinghi, che è quel che resta di un castello costruito in epoche piu recenti; quello medioevale venne smantellato nel 1433 dai Fiorentini, dopo che si furono impadroniti di Pisa. Per il possesso di Caprona, nell’agosto del 1289, si svolse una battaglia tra l’esercito della lega guelfa di Toscana, formato soprattutto da Lucchesi e Fiorentini, e le truppe ghibelline del comune di Pisa, allora retto da Guido di Montefeltro, che vide i primi vincere dopo un assedio durato otto giorni.
La curiosità: Alla battaglia per la presa di Caprona, combattuta il 16 agosto 1289, prese parte Dante Alighieri in prima persona: il poeta era uno dei quattrocento cavalieri e 2000 pedoni della milizia fiorentina che posero l'assedio alla piazzaforte pisana. L'Alighieri cita la circostanza nel XXI canto dell'inferno della Divina Commedia e si compiace ripensando ai ghibellini sconfitti, usciti dal castello tra le schiere dei vincitori:
Per ch'io mi mossi e a lui venni ratto;
e i diavoli si fecer tutti avanti,
sì ch'io temetti ch'ei tenesser patto;
così vid'ïo già temer li fanti
ch'uscivan patteggiati di Caprona,
veggendo sé tra nemici cotanti.
L'episodio fa riferimento alla paura che i soldati pisani, usciti "patteggiati" cioè dopo aver negoziato la resa, mostravano di fronte alla numerosa schiera di soldati fiorentini. Dante paragona i pisani ai diavoli, che rinunciano ai loro bellicosi propositi, arrendendosi per avere salva la vita.
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