I Promessi Sposi
Inserito nello scenario naturale di Lecco tra l’Adda e i monti circostanti, il dipinto ripropone in particolare la scena del primo capitolo dei Promessi Sposi e diversi altri spunti e riferimenti tratti dai successivi capitoli.
Capitolo 1.
La scena che il Manzoni ci racconta nel primo capitolo si svolge il 7 novembre del 1628 verso sera al tramonto. L’impronta cromatica del dipinto si rifà quindi ai colori della stagione autunnale e più in particolare all’atmosfera generale del tramonto dopo una giornata di tempo sereno. L’intero dipinto utilizza esclusivamente due colori il marrone e il rosso e i colori neutri bianco, nero e gamma di grigi.
“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien quasi a un tratto, a restringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra e un’ampia costiera dall’altra parte, e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascia l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni”.
E’ il bordo sinistro del dipinto dove viene rappresentato il lago, la restrizione, il ponte e di nuovo l’allargarsi del lago. La descrizione del Manzoni procede da nord verso sud e quindi la riva di destra è il lato occidentale del lago. Il ponte indicato è il ponte Azzone (oggi ancora presente).
“La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di San Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cucuzzoli in fila, che in vero lo fanno assomigliare a una sega: talchè non è chi, al primo vederlo, purchè sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e forma più comune”.
Nel dipinto, i tre torrenti sono le tre linee scure che dai monti scendono verso l’abitato di Lecco e Pescarenico. In particolare il primo torrente è il Gerenzone che nasce alle pendici della Grigna Meridionale nel comune di Ballabio, il secondo è il Caldone che nasce nei pressi di Morterone (a est di Ballabio) e il terzo il Bione che nasce ai piedi dei Piani d’Erna.
I monti rappresentati nella parte alta del dipinto formano una catena dove, procedendo da sinistra a destra, distinguiamo richiami delle forme del monte San Martino, Medale, Grigna meridionale, monte Due Mani, Piani d’Erna e Resegone, rappresentati in una sequenza non prospettica e non corrispondente quindi alla realtà.
“Per un buon pezzo, la costa sale con un pendio lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro delle acque”. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna”.
Nel dipinto tutto ciò è rappresentato da zone di colore e di forme irregolari tendenzialmente quadrate e rettangolari.
Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d’oggi, e che s’incammina a diventar città.
Lecco viene rappresentato come un agglomerato di forme che richiamano case e costruzioni disposte poco prima del ponte Azzone.
… Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del 7 novembre 1628, don Abbondio……….
….. talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino……
… la luce del sole già scomparso, scappando per i flessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora……..
….. i muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale erano dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che nell’intento dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e alternate con le fiamme, cert’altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, su un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là……………
…. due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l’altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto……….
…. Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro……….
La scena è riportata sopra le figure di Renzo e Lucia, più o meno nel centro del dipinto in quanto scena principale. Nel mezzo del viottolo don Abbondio e sulla schiena il suo breviario.
Il viottolo è composto da diversi vasi (vasi di ferro) e dall’abito di don Abbondio anch’esso visto come vaso rovesciato (vaso di terracotta). Alla fine del viottolo i due Bravi e il tabernacolo.
…. Giunto, tra il tumulto di questi pensieri, alla porta di casa sua, ch’era in fondo al paesello, mise in fetta nella toppa la chiave, che già teneva in mano; aprì, entrò, richiuse diligentemente; e, ansioso di trovarsi in una compagnia fidata, chiamò subito: <<Perpetua! Perpetua!>>……
Dopo l’incontro con i Bravi la scena si sposta nella casa di don Abbondio. Perpetua (la serva) è raffigurata alla destra della Canonica. E’ una figura fedele che sapeva comandare ma anche ubbidire, poco attraente e dalla lingua lunga.
Capitolo 2.
Il Manzoni descrive i ritratti dei due protagonisti: Renzo e Lucia e Agnese mamma di Lucia.
Renzo: ventenne, è pacifico ma sempre pronto ad infiammarsi davanti a un torto reagendo in modo ingenuamente minaccioso, impulsivo e non disposto a subire soprusi.
Viene rappresentato nella parte bassa e centrale del dipinto sulla sinistra di Lucia.
Lucia: “I neri e giovani capelli, spariti sopra la fronte, con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgevan, dietro il capo, in cerchi molteplici di trecce, trapassati da lunghi spilli d’argento, che si dividevano all’intorno, quasi a guisa dè raggi d’un’aureola, come ancora usano le contadine nel Milanese”.
Pur avvertendo la gravità dell’offesa subita, reagisce inizialmente chiudendosi nel silenzio per poi trovare sfogo nel pianto.
Viene rappresentata nella parte bassa e centrale del dipinto alla destra di Renzo.
Viene introdotta anche la figura di Agnese madre di Lucia, rappresentata nel dipinto sul fianco destro della casa di Lucia (tradizionale) a suq volta a destra della chiesa di Don Abbondio.
Capitolo 3.
“levò, a una a una, le povere bestie dalla stia, riunì le loro otto gambe, come se fossero un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo”……
Si tratta dei quattro capponi che Agnese consegna a Renzo per far visita al dottor Azzecca Garbugli la cui casa si trova nel centro di Lecco.
Si cita la Casa di Renzo (sulla sinistra della chiesa di Don Abbondio).
Capitolo 4.
“E’ Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare”.
Trattasi della descrizione del paesino di Pescarenico a cui segue la descrizione del territorio circostante composto da vigne, foglie rosse e terra bruna.
Capitolo 5
“Il Palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza duna bicocca, sulla cima d’uno dei poggi ond’è sparsa e rilevata quella costiera”.
E’ il palazzotto di Don Rodrigo, sotto al quale si descrive di qualche casupola dei contadini di don Rodrigo.
Fra Cristoforo sale attraverso questo villaggio per una stradina a chiocciola.
Capitolo 6
Nasce il progetto di Agnese di maritare di nascosto Renzo e Lucia.
Compare la figura di Tonio (non rappresentato nel dipinto) che Renzo invita alla Trattoria. 25 lire è il compenso di Renzo a Tonio (debito che aveva con don Abbondio) per fare da testimonio con il fratello Gervaso (non rappresentato nel dipinto).
Capitolo 7
Fra Cristoforo aggiorna Renzo, Lucia e Agnese dell’incontro con don Rodrigo.
Il giorno dopo Agnese e Renzo identificano in Menico (non rappresentato nel dipinto) colui che andrà da Fra Cristoforo a raccontare il progetto.
I Bravi travestiti da mendicanti si aggirano attorno alla casa di Lucia. Compare anche la figura del Griso (raffigurato a sinistra di Don Rodrigo) al quale Don Rodrigo affida il rapimento di Lucia.
Il progetto è indicato come “La notte degli imbrogli e dei sotterfugi”.
Capitolo 8
E’ una bella sera al chiar di luna, la scena si sposta da don Abbondio che scoperto l’inganno si mette a urlare dalla finestra; il sacrestano Ambrogio suona le campane a martello. La gente accorre.
Tutti da Fra Cristoforo che impone a Renzo e Lucia la fuga da Lecco; Renzo destinato a padre Bonaventura da Lodi a Milano e Lucia con Agnese a Monza. Sulla sinistra del dipinto viene raffigurata Gertrude ovvero la Monaca di Monza.
I tre lasciano la riva sinistra (Pescarenico) su una barca; il barcaiolo li porta sulla riva destra.
“Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime ineguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella mente, non meno che lo sia l’aspetto dè suoi più familiari; torrenti, dè quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come .branchi di pecore pascenti; addio!
Capitolo 9 e 10
Descrizione della Monica di Monza: contraddittoria, inquieta e sofferta. Occhi pieni di espressione e di mistero.
Capitolo 20
“Il castello dell’innominato era a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatore, da un mucchio di massi e di dirupi…….”.
“Era grande, bruno, calvo, bianchi i pochi capelli che gli rimanevano; rugosa la faccia; a prima vista, gli si sarebbe dato più di sessant’anni che aveva; ma il contegno, le mosse, la durezza risentita dè lineamenti, il il lampeggiar sinistro, ma vivo degli occhi, indicavano una forza di corpo e d’animo, che sarebbe stata straordinaria in un giovine”.
E’ la descrizione del castello e del personaggio dell’Innominato.
Maggiori informazioni sul mio pensiero pittorico al seguente indirizzo:
http://pedrottiarte.wixsite.com/website
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