Where is the circus - Selfportrait
Non amo particolarmente le opere di Frida Kahlo.
Ha uno stile e una tecnica impeccabile, ma è forse quel senso voluto e impossibile da mascherare, di angoscia e dolore, che mi tormenterebbe a vita se avessi un suo quadro sotto gli occhi per un determinato periodo. Non fa per me.
Amo e stimo molto però, il suo coraggio, la sua determinazione e la sua tenacia nel fare arte.
Per quanto potesse star male e trovare difficoltà nel compiere qualsiasi azione, dipingere doveva dipingere. A parer mio per elevarsi a quel grado di benessere superiore che non quello fisico.
Rimasi stupita e sconcertata da alcune brevi righe del libro di Hayden Herrera, “Frida. Una briografia di Frida Kahlo”, dove nel prologo viene un pò descritta la sua personalità. Mi trovai sbalordita dalla lettura di questa frase:
“Un amico di New York ricorda che nelle strade i bambini la seguivano chiedendo “Dov’è il circo?”. Frida non se ne curava.”
Ecco.
Questa frase scaturì in me una sensazione di angoscia e tenerezza.
Tenerezza nei confronti di Frida.
Angoscia nei mie confronti.
Mi sentii tirata in causa. In automatico mi immedesimai e ricordai delle costanti prese in giro sopportate da bambina.
Sono cresciuta in un periodo della nostra storia abbastanza sciocco a parer mio: se non indossavi indumenti firmati divenivi lo zimbello della classe, se non adirittura della scuola.
I bambini possono essere terribili. Sembra che non abbiano sentimenti quando fanno gruppo e ghignano, puntando il dito e guardandoti dall’alto verso il basso come i cattivi nei film d’animazione della Disney.
Ricordo che io non avevo niente di “marca”, e soprattutto mia madre, com’è giusto che fosse, non aveva intenzione di spendere tantissimi soldi per poi vedermi rotolare per terra in giardino o al parco pubblico con gli amichetti occasionali o quelli più sensati.
Una volta però, nel periodo delle scuole medie, ebbi la “fortuna” di trovare in gran sconto le scarpe che andavano più di moda in quegli anni, ovviamente di un colore improponibile.
Mia madre le comprò.
Erano comode, devo ammetterlo…ma come le odiavo!!!
Nel momento in cui le indossai capii che non mi erano MAI piaciute e di certo non le avrei amate dopo averle comprate, per di più di color bianco e giallo.
NO.
Arrivai comunque fiera di me a scuola, per assaporarmi il momento di gloria, che effettivamente arrivò subito. I miei compagni a bocca aperta rimasero shockati e fu così che mi sentii una regina. Si…per dieci minuti. Dalle mie orrende scarpe i loro occhi passarono ai miei fouseau non di moda che scaturirono risa generali e prese in giro.
Da quel momento rinunciai.
Fanculo alla moda.
Fanculo agli stolti.
Avrei preferito esser lo zimbello piuttosto che dover stare al passo de “i fichi”.
Non dissi mai nulla a mia madre. Soprattutto che quelle scarpe mi avevano fatto vomitare dal principio, ma capii da sola che, come Frida, delle prese in giro non me ne sarei dovuta curare ed essere sempre me stessa.
Fa strano che queste cose succedano anche agli artisti famosi, ma è in questi casi che si aprono gli occhi e capiamo che sono così vicini a noi che siamo “qualcuno” nel nostro piccolo.
Da quella lettura e da quel ricordo decisi di creare il mio primo autoritratto e intitolarlo: Selfportrait. Where is the circus?
Mi ritrassi con la più bizzarra camicia trovata nell’armadio e facendo si che guardassi lo spettatore fiera e malinconica su uno sfondo quasi bizantino.
Questo è il risultato.
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