SIGN
cui non siamo più in grado di dare una residenza, uno spazio d’esistenza. Ma che cos’è?
Sappiamo solo (e solo ora) che non è lì, già fatto, a portata di mano. Non è magia, non è uno schiocco di
dita.
È un tragitto da compiere con i propri piedi e se non c’è sudore non c’è meta. È fatica. È lavoro. È impegno.
È accettare di giocare una partita seria.
E da questa scommessa impariamo che il ‘negativo’ non è la negazione né una minaccia alla nostra incolumità
ma è la capacità di guardare in faccia quello che non conosciamo e che, quindi, ci spaventa
enormemente. Stare dentro il negativo è già una conquista, è già il suo superamento.
Ed è qui che Marco Groppi innesca il suo cortocircuito.
Ci presenta un’opera che sembra rispettare tutti i canoni di una cultura visuale accettata e compresa,
rassicurante come solo sa essere una moda, che riconosciamo, che ci fa sentire protetti e in cui, perciò,
vogliamo identificarci.
Ci troviamo dentro all’atmosfera essenziale e pulita di una galleria, madre matrigna dell’arte contemporanea,
croce e delizia del mercato, in cui il bianco e il grigio (così di “moda”, appunto) la fanno da padroni.
Unico protagonista, solitario e silenzioso, discreto eppure visibilissimo, un neon. Una scritta in tedesco, innocua.
Che poi le cose non stanno proprio così. Non tutto quello che possiamo vedere esiste davvero, gli occhi
spesso vengono traditi dallo stesso visibile: questo neon non c’è mai stato, non è mai stato fotografato. È
stato creato ex post e inserito nella foto di uno spazio vuoto, pronto ad accogliere qualsiasi feticcio. Ce l’aveva
già detto con Mar Mortis, Marco Groppi, che c’è di più oltre a quello che si vede e che, non è vero, la
bellezza non salverà il mondo se non sapremo farne un uso consapevole e responsabile.
E ora, con SIGN la vocazione fortemente filosofica, che caratterizza la ricerca dell’artista, si fa sentire con
veemenza, creando una contaminazione non delle forme ma del pensiero. Il neon assume una potenza
inaspettata, rivoluziona il nostro primo contatto con l’opera. Guardiamo e improvvisamente esplode un
senso dissidente, persino inquietante e anacronistico: Arbeit des negativen. L’assoluto si conquista con “il
travaglio del negativo”.
Proprio per questo, allora, iniziamo a raccogliere le forze per farci investire da questo senso eretico. Vale la
pena di iniziare a camminare. Con i propri piedi e il proprio sudore, ovviamente.
Commenti 0
Inserisci commento