DEEPER-ON MY OWN

DEEPER-ON MY OWN

DEEPER-On my own Life
A Photographic Project by Inte Jag
A cura di Rosanna Mele


PRESENTAZIONE

Teorizziamo, da sempre, l’esistenza di due mondi: uno “esterno”, territorio del nostro agire; ed uno “interno” che ha patria dentro di noi, definito “mondo interiore”. Il “comune sentire” assegna alla fotografia la mera funzione di riprodurre meccanicamente – rendendoli eterni – attimi di quella “realtà esterna”, frammenti di vita vissuta o panorami del mondo che non potranno mai più “esistere” allo stesso modo nell’infinito spazio-tempo.
Il Progetto Deeper vuole rivelarci una dimensione della fotografia dove non esiste la dicotomia tra il “mondo esterno” ed il “mondo interno”, tra “reale” e “non reale”.
Gli scatti del nostro Autore, infatti, accompagnandoci nei meandri della mente, ci catapultano nel labirinto di quelle che sono le “nostre” percezioni, quasi istigandoci alla creazione olografica di una realtà che solo noi avremo visto nell’immagine.
Nel misterioso mondo di Deeper non ha più ragione di esistere il concetto di “staticità” della fotografia: ogni singola immagine “formale” catturata dall’Autore sarà elaborata dalla nostra mente brillando di luce propria, assorbita dal mondo in cui viviamo.
Roberto Todde, in arte Inte Jag, autore del Progetto, affascinato dalle leggi che regolano il mondo ed il mistero che le avvolge, si è preoccupato di frugare nel suo mondo interiore.
Utilizzando la fotografia come un medium bizzarro, ha voluto sperimentare una nuova forma di allucinazione, ingannevole a livello temporale, sincera nelle percezioni sensoriali.
Il Progetto Deeper ne vuole essere la rappresentazione: esplorando nuovi linguaggi inconsci, sperimentando scatti alternativi, utilizzando innovativi procedimenti chimici di stampa e nuove tecniche di comunicazione simbolica e surreale. Questa nuova prospettiva, quasi a voler dar vita ad una “fotografia noir concettuale”, vuole esprimere un senso di onnipotenza, un artistico invasamento che sprigiona il desiderio di un eternità sospesa tra bello e brutto, bene e male, luce ed ombra!
L’estetica di Deeper per Roberto Todde è una sorta di vertiginoso strapiombo che si apre ad illimitate possibilità di lettura semiologica: essa precipita nel vuoto ad indagare l’ignoto per poi risorgere nella coscienza di ogni individuo e risolvere gli angosciosi dubbi esistenziali della geniale ed enigmatica figura dell’Autore stesso.
Nello specifico, Deeper si compone di trenta scatti con i quali si stabilisce immediatamente una speciale corrente emozionale, determinata, oltre che dall’attrazione visiva, dalla libera interpretazione delle immagini: come fosse un accordo, quasi una fusione, tra la cultura simbolista e l’immaginario sartiano (pensiamo ad Immagine e coscienza o al Qui ed ora puntualmente vissuto e colto). Al tempo stesso, ogni singolo scatto trae origine dal viaggio introspettivo dell’Autore nel proprio doloroso passato, nelle esperienze vissute, indagandone le inquietudini per poi tradurle in immagini. Il risultato è stato la realizzazione di scatti in bianco e nero potenti, istintivi, a tratti visionari che galleggiano tra il reale e l’onirico, il meraviglioso ed il mostruoso. Tra tenebra e luce.
Tecnicamente, queste fotografie sono il punto di incontro tra due procedimenti distinti: il primo – di natura chimica – verte sull’azione della luce su determinate sostanze; il secondo - di ordine fisico – attiene alla formazione dell’immagine attraverso il dispositivo ottico che ne fissa l’essenza.
Come metafora della propria vita Roberto Todde afferma: “da esperienze traumatiche può nascere uno stile; un codice espressivo, identificativo, estetico”.
Il DNA della sua fotografia, dalla forte carica simbolica, trae origine, infatti, da quei moti silenziosi che devastano l’animo umano: l’identità di Deeper.

Questa la sua nuova sfida alle stelle.











DEEPER
TESTO CRITICO

“Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia” - Erasmo da Rotterdam.

Le parole di Erasmo da Rotterdam sono un inciso imprescindibile per comprendere meglio il mondo visionario che anima il progetto fotografico Deeper; quasi un viaggio iconografico sulla vita e le paure dell’autore che attraverso la fotografia è alla costante ricerca di inedite ed inquietanti espressività che possano indagare l’inconscio ed i suoi linguaggi creativi intesi come libera e ritrovata espressione emozionale.
Roberto Todde in arte Inte Jag.
Classe 1968.
Lui viaggia da solo, è uno sperimentatore.
Un pioniere della fotografia Astratto-Concettuale.
Il suo percorso artistico si snoda tra importanti esperienze formative vissute nella sua terra, la Sardegna, e le numerose città che lo hanno ospitato sia nel portare a termine il suo percorso di studi che nel girovagare unicamente guidato dalla passione per la fotografia.
L’eccentrica e ribelle personalità del fotografo sardo ha contribuito ad auto-alimentare il mito visionario della sua unicità torreggiante ed incomparabile.
Da maestro contemporaneo di una fotografia molto spesso completamente immateriale, il nostro rivela nei suoi scatti una conoscenza approfondita della percezione visiva e delle neuroscienze capaci di ingannare l’osservatore.
Le sue fotografie, infatti, richiamano precetti visivi mistico-visionari basati sulla ricerca di un contatto immediato tra realtà ed immaginazione attraverso un umana luce pervasa di ombre interiori.
Le sue sperimentazioni lo hanno portato a squarciare gli orizzonti della tecnica fotografica ed a rinnovare lo sguardo della critica. Egli afferma: ”il mezzo più importante per un certo tipo di fotografia é la mente; le mie esperienze fotografiche ed il mio background hanno formato ed affinato la mia conoscenza del mezzo fotografico. Pian piano è subentrata in me una nuova consapevolezza creativa che mi ha portato ad allontanarmi da tutte le regole imposte per seguire solo il mio istinto”.
Ed infatti, affrontando la lettura critica dei lavori di Inte Jag ci troveremo inevitabilmente invischiati in una dimensione iconografica inedita, misteriosa, affascinante: gli scatti che compongono Deeper si presentano come rivelazioni sensoriali. Sono un corto circuito tra l’interno e l’esterno del suo essere e, contemporaneamente, il risultato di un profondo ed attento studio sulle potenzialità concettuali della fotografia.
Incuriosito ed attratto in maniera quasi ossessiva dallo studio della luce con le sue casuali mutazioni nel tempo e nello spazio, Inte Jag scatta senza tregua, immortalando le diverse possibili combinazioni d’incontro tra luce disegnata ed ombra.
Inconsapevolmente sembra voler indagare nell’inconscio di colui che osserva le sue immagini; ed è probabilmente questa la ragione per cui le sue opere sembrano “esprimersi” a chiunque le guardi.
Risultato affatto scontato quando si tratta di sperimentazioni astratte.
Nei lavori domina l’utilizzo raffinato del bianco e nero che risulta fortemente espressivo proprio perché riesce a rivelare l’anima inquieta e profondamente segnata dell’autore.
Nella sua fotografia noir viene sfruttata un illuminazione capace di creare un effetto che potremmo definire “a scarsa definizione”; un elogio dell’ambiguo e dell’incerto, grazie ai contrasti in cui l’ombra prevale e trasmette phatos.
Questa ricerca si nutre anche di tracce letterarie: tornano in mente autori come Hammett, Chandler, Cain, nella cui atmosfera cupa, inquietante, quasi sospesa tra realtà e crisi di identità, sembra emergere la creatività visionaria di un fotografo maledetto.
Con abilità Inte Jag declina elementi materiali ed immateriali per decontestualizzarli e trasformarli in esperienze visibili, comunicative e fortemente evocative.
La Collezione, così, strizza l’occhio alle ambiguità di un genere ancora sconosciuto.
Attraverso uno stile fortemente personale ed irriverente l’artista esalta  l'intelligenza dello strumento creativo utilizzando tecniche sperimentali come la lunga esposizione e la luce disegnata.
La sua macchina fotografica diventa il pennello di un artista lontano dall’iperrealismo: non importa la riproduzione esatta della realtà spazio-temporale quanto l’esplorazione delle possibilità creative dell’io, timbrando registri onirici e surreali, servendosi di pura bizzarria.
Ogni scatto viene sviscerato e scomposto all’infinito onde poter scovare territori mentali ai più sconosciuti: lo sguardo ipnotico dell’autore, quasi permeato di sofferenza, come in un esame autoptico, apre le porte di un mondo misterioso dove si trasfigura ogni cosa per poter reinventare la propria realtà assurda.
Per indagare la propria “assurda” realtà Inte Jag approfondisce idealmente il tema della luce con le sue rifrazioni su diversi materiali.
Così, inevitabilmente, in Deeper, luce ed ombra diventano il filo conduttore dell’intero Progetto, anche grazie al sapiente utilizzo della c.d. luce disegnata.
A tal proposito l’Autore scrive: ”la luce disegnata è una tecnica utilizzata da pochi perché di non facile realizzazione. Io l'ho conosciuta grazie a Paolo Roversi che l’adopera nel settore della moda su soggetti statici; io, invece, la utilizzo su soggetti in movimento. Consiste nel posizionare un soggetto in una camera buia per illuminarlo con una particolare pila elettrica; servendosi di quest’ultima, quasi si “disegnano” i contorni, alcune parti del corpo ed infine lo sfondo sul quale viene proiettata una quantità maggiore di luce. E’ cosi che nascono tutte le foto di Deeper. Ulteriori difficoltà insite nell’utilizzo della particolare tecnica espositiva, consistono nelle complicate e personali valutazioni sul “come” e “dove” disegnare con la particolare fonte di luce descritta e nel dosaggio della quantità di luce stessa con cui irrorare lo sfondo”.
E proprio durante una delle tante psichedeliche ed estenuanti ricerche della luce “perfetta” che il Nostro scopre nel 2013, quasi per caso, la Toddefia: euforicamente così battezzato onde poter esaltare, giocando con il cognome, il carattere paradossale ed inquietante dello scatto, fiero alfiere del suo stile destabilizzante, mimetico ed anti-iconico.
Questi sono solo alcuni degli scatti del Progetto Deeper ma che rappresentano bene l’embrione della ricerca stilistica e comunicativa del nostro Inte Jag.
Sono sofisticati studi illusionistici capaci di coinvolgere lo spettatore: costringerlo ad una riflessione metalinguistica sull’atto stesso della percezione; e poi accompagnarlo – quasi coattivamente – attraverso immagini che ingannano la vista ma trasudano senso poetico, nel vissuto dell’Autore pieno di dolore ed isolamento.
Abbiamo detto che la fotografia di Inte Jag gioca sulle ambiguità visionarie di un genere ancora sconosciuto.
Peraltro, in esso incide profondamente il suo personale modo di intendere la "casualità" come un gigantesco frullatore da cui incessantemente vengono partorite molteplici realtà celate dietro l'apparenza del “singolo evento” così come viene comunemente inteso nel tempo e nello spazio.
Come ipnotizzato davanti ad una poetica nebbia, Inte Jag esplora la sensualità di corpi indefiniti attraverso i simboli dell’arte con uno stile mai costante, sempre alla  ricerca di forme nuove di comunicazione.
L’intento è di condurre l’osservatore nella propria mente popolata di demoni e visioni, forse a tratti spaventose: un posto che pulsa di percezione visiva autonoma, all’interno del quale si può continuare a percepire l’immagine sospinti dal proprio stato d’animo, ma dove i confini tra la mente dello spettatore e quella dell’artista diventano così labili da fondersi in una dimensione sospesa.
Non si tratterà, dunque, di rappresentare il reale, ma di appropriarsi di uno stato d’animo ed entrare in contatto con esso.
Nascono così una serie di scatti, bizzarri, sorprendenti, eccentrici, intriganti ed ancora inquietanti, coinvolgenti ed affascinanti.
L’immagine, come personale ologramma mentale del singolo spettatore, sarà la reazione a ciò che sta percependo.
Dunque, non sarà qualcosa di percepito al di fuori delle proprie emozioni, ma, piuttosto, un fondersi con quelle dell’artista e ciò che ha immaginato mentre scattava. Ed il fatto che anche l’osservatore sia responsabile della “visione” è un qualcosa di cui siamo poco consapevoli.
Un passo avanti rispetto alla poetica settecentesca di Giovan Battista Marino: ”E’ del poeta il fin la meraviglia, chi non sa far stupir, vada alla griglia”.
La solidità tecnica di questo artista, con il tempo ha donato spessore alla sua indagine silenziosa, portandolo a diventare un interprete interessante nel panorama nazionale per quanto concerne la fotografia creativo- concettuale.
Un artificio che esalta quasi l’impressione che la forza espressiva di ogni suo scatto sia delegata unicamente all’impatto immediato subito da chi l’osserva, quasi che l’artista non si preoccupi di comunicare altro.
Ammirandone gli scatti, l’effetto Deeper si trasforma da sorprendente quasi in scioccante.
Sembra il paradigma dell’intero progetto fotografico e della modalità di comunicare nel silenzio la sua poesia sorprendente.
L’aurea della sua opera, avrebbe detto Walter Benjamin.

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