Broken home / di padre in figlio

Broken home / di padre in figlio

Quando si parla di papà separati e di quello che sarebbe giusto che facessero,
bisogna sempre ricordarsi che non tutto è sempre possibile. Ci sono
spesso mille ostacoli che di fatto impediscono ai papà di fare i papà e ai
figli di avere rapporti intensi e continuati con i loro papà.
Colpa delle leggi, insufficienti? Colpa dei giudici che le interpretano e
le applicano in modo sempre discriminante per i papà? Colpa degli avvocati
che utilizzano i figli come strategia per difendere i loro assistiti? Colpa
dei genitori che usano i figli per vendicarsi dei torti subiti?
Colpa delle mamme che si rivendicano un ruolo dominante nella cura dei
figli? Colpa dei papà che fuggono dalle loro responsabilità? Io dico colpa
di tutto questo e di tutti. Colpa di una cultura dell’educazione dei figli
e del rispetto verso la loro crescita, che in Italia stenta a prendere
campo.

“Di padre in figlio” è una ricerca fatta di immagini, suoni, voci, ricordi e di quel legame di attaccamento unico che può trasmettersi solo di padre in figlio. Una relazione fatta di sensazioni e paure, tenerezze e sbagli, occhi grandi e lucidi che non sempre guardano nella stessa direzione. Perché un padre sa che il migliore insegnamento che può trasmettere al proprio figlio è quello della libertà, pur sapendo che mai gli farà mancare la guida del suo amore. Un sentimento così forte da far dimenticare che ciò che passa di padre in figlio resta comunque e lascia il segno. E, allora, vorrebbe fare ancora, troppo, e trattenere ogni istante vissuto dentro di sé.
Ma la vita, al di fuori di questo rapporto, è più che mai reale e non risparmia sofferenze e privazioni. In quelle occasioni la fotografia diventa terapeutica perché gli permette di esprimere ciò è difficile tradurre in parole. Così cerca di fermare i preziosi frammenti di quel legame, colti ora nella luce, ora nella penombra, tra le pareti di una casa sempre più vuota, o attraverso il vetro di una finestra o sotto le lenzuola candide di un letto che tra pochi anni diventerà troppo piccolo.
Attraverso le immagini anche l’osservatore attiva uno spazio di riflessione sul proprio ruolo di figlio e su quello di genitore che forse ha già assunto o che si troverà ad acquisire in futuro.
Lo sguardo del fotografo – uomo, maschio e padre – è spinto dall’esigenza di guardare oltre la quotidianità e trattenere le proprie sensazioni, trasmettere un’eredità – che non è solo quella biologica – di padre in figlio; un regalo che fa a se stesso grazie al quale riesce a fermare il tempo, per apprezzare consapevolmente ciò che possiede qui e ora, con la delicatezza e il timore di un genitore che guarda negli occhi una parte di sé.

Un lavoro, quello realizzato da Graziano Panfili, che può contribuire a motivare gli uomini a essere più coinvolti nella relazione e nella gestione dei propri figli fin da piccoli e a portare all’attenzione dell’opinione pubblica un problema sociale sempre più sentito: quello del rapporto padri-figli a seguito della separazione dei coniugi e delle conseguenze nella gestione quotidiana delle relazioni familiari e affettive.
«Dal punto di vista personale – spiega Panfili – realizzare questi scatti ha messo in atto un processo di conoscenza su ciò che sono stato in passato e su ciò che sono oggi, il padre che sono diventato e i miei vissuti emozionali. Lavorare sul rapporto con mio figlio mi ha fatto vedere cose che al di fuori di una fotografia non avevo visto, non avevo sentito. È stato un processo maturato nel tempo ed emozionante che si è evoluto con la crescita di mio figlio e del nostro rapporto. La relazione stessa può quindi diventare veicolo del cambiamento: quando un contenuto arriva alla consapevolezza, poi, non puoi più far finta di niente».

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