The precariat

The precariat

Fotografia Digitale, Politico/Sociale, Digitale, 2362x1564x1cm
Il termine Precariat è una crasi coniata da Guy Standing e identifica una nuova classe sociale formatasi negli ultimi anni, caratterizzata da persone la cui condizione di esistenza è la precarietà, ovvero la totale mancanza di prevedibilità e sicurezza che ha ripercussioni sul benessere materiale o psicologico dell'individuo.

Il progetto mostra una particolare categoria di lavoratori che vive questa condizione, i migranti che hanno ottenuto il permesso di soggiorno e cercano di integrarsi nel mondo del lavoro.

Questo tentativo è spesso molto più faticoso del previsto perché le strutture intorno a noi, su cui una volta contavamo, i governi, sono essi stessi in crisi e in ogni livello della vita umana si ha la stessa situazione: l'incertezza.

Lo sfondo del progetto è lo stadio olimpico di Roma ed il lavoro è quello del venditore di bibite sugli spalti, un'attività che viene svolta regolarmente in tutti gli eventi che si svolgono all'interno dello stadio.

In passato questo lavoro era svolto da albanesi o italiani del sud Italia che venivano a Roma per studiare con una borsa di studio, o da chi, come me, cercava una minima autonomia economica; oggi i venditori sono principalmente africani o afgani.

I venditori si trovano a lavorare in un ambiente immenso e popolato, simbolo di tradizioni profondamente radicate nella nostra cultura come il calcio, il rugby o i concerti rock; gli spettatori paganti vivono il loro spettacolo ed al loro fianco, sopra, sotto, scivolano quasi senza essere visti, questi nuovi attori della nostra società, in una condizione di alienazione, solitudine e incomunicabilità che è così paradossalmente vicina e distante rispetto al nostro divertimento da riuscire a mostrarci un qualcosa che ancora non riusciamo a vedere.

E' una storia di contrasti quindi, di bianco e di nero tra due realtà che tardano a comunicare e che entrano in contatto solo per uno scambio meccanico tra denaro e merce.

Il progetto non vuole solo restituire un volto a queste presenze “fantasma” ma anche far riflettere sul paradosso di questa separazione, proprio lì dove in molti si è uguali, tra le file dei Precariat.

“Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simboliche, sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell'arte del vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmente o meno) i semi di forme future di umanità”

Zygmunt Bauman,

Piace a 5

Commenti 1

Suzan a1qq Hijab
7 anni fa
These are slaves like in america in the 19th century refugees are human beings - unfortunately they are the slaves of cheap capitalism.
  Their own people do not want to make their hands dirty.
One must not be proud - one should be ashamed - what the SPD wants us to hammer is going too far.

Inserisci commento

E' necessario effettuare il login o iscriversi per inserire il commento Login