Esaminando tra le righe
Nuances di grigio si impongono timidamente. Un dagherrotipo di fine Ottocento, il mezzo, la nuova possibilità di rievocare l'assenza e il vuoto mnemonico. Una necessaria “oscurità” e misticità caratterizzano quest'opera, derivata dal fatto che al ricordo, alla memoria non ci si accosta direttamente, ma attraverso i simboli, gli oggetti, l'analisi del colore. Un ammiccamento di breve respiro, un incontro fugace e illusorio, pochi istanti e tra il fruitore e il quadro si incunea una stoffa ordinaria e familiare, dalla morbida tramatura purpurea.
Dietro essa, solo un vuoto, il segno di un'ossessione, un rapimento, un gesto istintivo e primordiale. La volontà di impossessarsi e possedere per sempre quel volto e con esso l'anima della donna. Il viscerale bisogno di adempiere a un'assenza (presente o futura) attraverso l'immagine, comporta, innesca una subdola aggressività, un'oltraggio all'opera, sublimata appunto, “dall'estrazione” del volto.
Testo critico a cura di Jenny Argentin
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