La fame rende liberi
Influenzato, nella mia infanzia, dai racconti di mio nonno (che fu deportato per due anni nei campi di concentramento nazisti) attualmente mi sto interessando alla storia di questi spazi chiusi e condizionanti in cui la vita rimaneva intrappolata e violata e dove ogni individuo veniva privato della sua identità.
I deportati venivano sottoposti ad una dieta estrema, priva di proteine, che li conduceva allo sfinimento e infine alla morte.
Nella presente opera sono rappresentate le proteine actina e miosina che costituiscono il 70% circa delle proteine muscolari. Esse trasformano l’energia chimica in energia meccanica. Nell’opera le proteine fanno da sfondo al numero 174708 allo stesso modo in cui sul braccio dei deportati veniva tatuato il codice numerico. I primi tre numeri indicavano la provenienza geografica di ciascun prigioniero e 174 designava gli italiani. Il titolo dell’opera, “La fame rende liberi”, è la parafrasi della scritta posta sul cancello di Auschwitz
“ Il lavoro rende liberi “. Essa vuole suggerire il concetto, espresso da mio nonno, che i prigionieri avrebbero preferito morire di fame piuttosto che finire nei forni crematori, liberandosi così dalla nullità in cui erano stati trasformati all’entrata nei campi.
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