Ritratto XVII
Vi è una pittura dolorosa che si riflette nella tensione delle forme con una sorta di spasmo che contrae il colore e che fa scomporre la pennellata o in una matericità sedimentata oppure in una deformazione magmatica. Un universo di sentimenti e di riflessioni si attualizza in una sorta di iperbole dell’esistere, in una concentrazione di vita dolorosa e insopportabile. Quasi che ogni particella elementare di pittura diventasse pesante come un sasso, densa come la pece. Lorenzo Puglisi pur essendo molto giovane, pratica una forma d’espressione classica, possiamo dire adulta.Non solo predilige, tra i generi pittorici, il ritratto, ma soprattutto si confronta proprio con i “generi”, cioè con quelle forme cristallizzate da secoli e da reiterati insegnamenti che hanno apportato dei criteri di realizzazione, chiamati canoni.Ma in Puglisi non è importante uscire dal solco della tradizione, negandola.E’ importante invece affermare l’unicità dell’io. A lui si può attribuire la formula del filosofo inglese G. Berkeley per cui “Esse est percipi”.Il senso dei suoi ritratti, duri, spesso disadorni, al limite della consunzione,è un principio di esistenza..
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