Ecce homunculus
Creature diverse, diversi umani hanno solcato il pianeta del pensiero.
Siamo passati dal mito dell'androgino di Aristofane, raccontato nel Simposio di Platone
all’uomo di cristiana memoria flagellato per amore, al super uomo di Nietzsche fino ad
arrivare a questo “Omuncolo”…: non più unito a una donna nell’amore né rivolto alla
salvezza del prossimo per amore, non forte né supremo, ma omuncolo, appunto, che si
torce, privato di prospettive e visioni alte, chiuso, accartocciato nel suo egoismo, nel suo
minimo mondo, parlando con se stesso, vedendo se stesso, chiudendosi in se stesso e
prima o poi soccombendo in se stesso.
Forse nessuna visione del futuro, ma un osservarsi dentro, attraverso un lato poco
“nobile”, un tunnel nero, senza luce, senza speranza. Un uomo nato “contorto”.
E’ questo il grido dell’opera di Apostolo, la denuncia di un mondo umano che si è
trasformato in un sistema indifferenziato di omuncoli. Un sistema involuto, di pura
implosione, nel quale si avverte lieve, ma disperatamente intenso il sogno del coraggio
verso l'elevazione, la tensione verso un futuro in cui si riesca a tornare umani, liberando
il corpo e il pensiero a una visione superiore. Alta, nella dignità e nella felicità.
Siamo dunque “Omuncoli”. Tali rimarremo per un tempo che non ci è dato conoscere. A
ciascuno spetterà la sua piccola‐grande, mediocre‐superba battaglia personale. Quella
di questo, il “minimus”, è già cominciata. E il suo grido di guerra è: “Alegher, alegher,
ch’el bus del cul l’è negher!”
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