Lo straniero

Lo straniero

Nella corsia intermedia del Grande raccordo Anulare, mi scintillano le lacrime contro le luci delle auto, quando mi sorpassano a sinistra per accelerare o a destra per uscire nei loro quartieri. per lasciarmi i pensieri dentro Roma ho bisogno di girarle attorno, e il ritmo perpetuo del traffico notturno mi funziona come la respirazione yoga per certi di classe mia. Ora che non ho più Alba da andare a prendere, posso venire qui ogni volta che mio padre- comunque malvolentieri - mi dà la delta. Alba mi piaceva vederla spuntare sotto i palazzi Caltagirone e sapere che per quella sera non si sarebbe infreddata, anche se insisteva che le andava bene prendere il suo cinquantino come al solito.
Tredici uscite, venti chilometri abbondanti, da dove sono cresciuto a dove sarei dovuto crescere: in questo mezz'anello mi riesce di piangere, per la vita che doveva essere. Dopo la Salaria, nel nome di ogni svincolo c'è qualcosa che mi punge - Fidene, San basilio, Ponte Mammolo, Centocelle. Anche se ora esco a Tuscolana come il ragazzetto sulla Mini a fianco, qua resto uno di passaggio: per lui questa uscita è casa e i neon li spegnerà magari alle Corde dietro il palazzo di Alba, ma io tra duecento metri imbocco di nuovo il Raccordo verso nord e tanti saluti.
in quella vita, Alba non l'avrei conquistata ma almeno non l'avrei delusa. Sarei cresciuto al Quadraro e per le periferie sud-est, avrei imparato i codici di quella roma. Con la casa piccola i miei avrebbero avuto più remore, magari una seconda figlia non l'avrebbero fatta e mamma non sarebbe morta di parto. Forse mio padre sarebbe stato frustrato a continuare le pulizie per quella ditta, ma a fare il portinaio in centro - l'occasione della vita - invece che frustrato è diventato arrogante e noi figli c'ha rovinato. La gran fanfare di quel trasloco maledetto lo ha lasciato con due piatti in mano, da sbattere per festeggiare i soldi in più sul conto e l'invidia dei burini - quando ritorna al paese, chè gli vedono sul cruscotto il permesso per residenti del primo municipio.
Le aspettative sono brunite, come l'acqua in cui Goya lasciava stingere il pennello: mamma non ha fatto in tempo ad ambientarsi e tantomeno a "sentirsi signora", mio padre non s'è goduto più niente dopo il lutto, io e mia sorella dovevamo fare "le conoscenze" e invece io sono venuto introverso e lei è troppo sguaiata anche per fare la mantenuta. Dal liceo classico più prestigioso, dove potevamo almeno farci una cultura, mia sorella dopo un quadrimestre è scappata a una privata e io preso il diploma ho guardato all'università come a un sogno ch'è da sfrontati sognare. tanto è stata comprensibile la posizione di mio padre in fondo a cinque anni di pagelle mediocri (" Non pago più niente: li soldi butti li tua"), quanto non poteva che essere Alba a darmi la spinta - lasciandomi per la mia inutilità.
Intuisco le luci già lontane di Cinecittadue e la trafittura al petto la sento vera, anche se quei singhiozzi miei neanche esisteranno più, a distanza di tanti mesi, nella memoria di chi mi vide appena Alba mi aveva lasciato.
Nonostante il Raccordo sia un cerchio perfettamente chiuso, qui ancora mi sembra esserci una città che offre mille svincoli e la tabula rasa a che a me. Ogni volta me ne torno indietro col cuore sfatto come la creta bagnata.
Tommaso Giagni, L' estraneo

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Commenti 1

Lino Bianco
8 anni fa
Lino Bianco Artista
Bellissima interpretazione della "diversità". Bravissimo! Ciao,
Lino

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