Mobbing a tempo indeterminato -- Mobbing Indefinitely
Il mobbing rappresenta, senza incertezza, uno dei risvolti più vergognosi della nostra società, e appare come condizione praticata e stratificata da sempre, seppur in forme e modi diversi, proprio in ragione della sua adesione verso un subdolo atteggiamento, scolpito nelle profonde caratteristiche interiori del genere umano, che tende a deprivare di contenuti psicologici quegli individui considerati “nemici da abbattere”.
È purtroppo una pratica che tende a passare sotto traccia, minimizzata, mai conclamata, mai dichiarata, apparentemente assente, non-evidente. Colui che esercita il mobbing, se fosse costretto a esprimere verbalmente una giustificazione, lo definirebbe solo un errore inconsapevole, una casuale sbadataggine, una lieve e involontaria imperizia, nonostante quest’atteggiamento sia stato malevolmente e costantemente reiterato quanto programmato. La modalità esecutiva di questa pena si traduce in un assillante processo di ricollocazione perenne, un riposizionamento incessante, un de-mansionamento ossessivo, un chirurgico annullamento psicologico, perché questi simpatizzanti e fanatici dell’azzeramento, quando non intendono affrontare lealmente “l’avversario” collocandosi su un paritario terreno di confronto, cercano lo sgambetto consapevole, sfruttano quel piccolo margine di potere gerarchico per ottenere una vincita colposa. Gli esecutori di questi distruttivi congegni comportamentali, sono dei kapò post-industriali, insolenti e inutili come le zanzare, che però attraverso la loro azione devastano le vite altrui senza il minimo scrupolo ma con assoluta, precisa e intenzionale cattiveria individuale.
Il mobbing lo esercita chi sceglie il “contenitore” e non il “contenuto”. Per costoro, l’accettazione delle idee e dei comportamenti è direttamente proporzionale all’esplicita simpatia di chi le propone. Preferiscono, accanto a sé, gente fedele piuttosto che virtuosa, pensante, o anche soltanto immune dalla sindrome di accondiscendenza genetico-genitale. Per questi zelanti praticanti del mobbing, l’etica si baratta con il surrogato estetico, empatico, amichevole, o di sudditanza.
Esiste però, nell’interezza della questione, un risvolto positivo per chi subisce l’atto della sopraffazione, ed è identificabile con quella che potremmo definire la mancata “partecipazione all’evento”. Ovviamente non vuole essere un banale espediente di bilanciamento psicologico tantomeno un assorbitore all’inevitabile somatizzazione comportamentale, ma vuole fornire un’apprezzabile parametro di distanza etica verso queste vergognose condotte umane. Se, infatti, la frase “ il simile attrae il simile”, rimane un assodato e veritiero caposaldo della tradizione verbale popolare, allora chi è sottoposto a questi abusi deve ritenersi felice di non determinare nessuna attrazione e simpatia verso questi individui. Potrebbe apparire soltanto un ininfluente succedaneo filosofico inteso a evitare il coinvolgimento personale dell’individuo, o lenire il disagio di quest’attenzione, ma in realtà dichiara la manifesta e totale estraneità nei confronti di anomali e macroscopici atteggiamenti di assoluto disturbo sociale e di ignobile presenza comportamentale.
Commenti 2
Inserisci commento