Il vuoto, il vento, la pioggia, il Tibet. (Work in progress)
A Lhasa e in tutto il Tibet, il respiro manca. Manca non per la rarefazione dell’ossigeno o per la cappa di smog che soffoca la città. Manca soprattutto per via della continua violazione dei diritti umani a opera della repressione cinese.
Sin dalla sua occupazione, imposta dal colonialismo cinese, il Tibet continua la lotta quotidiana per preservare la dignità, la cultura e l’identità di un popolo. L’inquinamento prodotto in Tibet è diverso da quello che conosciamo noi occidentali: è un inquinamento subdolo; che si insinua in modo silente e non percepibile dal resto del mondo, ma distruttivo, come una cancrena, per il popolo tibetano.
In Tibet si sostituisce il mandarino al tibetano come mezzo linguistico. La lingua è il più grande segno di identità di un popolo. Come insegna Ignazio Buttitta, nella sua Lingua e dialettu, « Un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua ricevuta dai padri: è perso per sempre».
Per millenni il popolo tibetano ha svolto il ruolo di guardiano dei suoi fiumi e del suo ambiente nell’altopiano garantendo le risorse idriche a milioni di asiatici. Ma le politiche cinesi stanno mettendo a repentaglio il territorio: i cinesi stanno forzatamente allontanando dai pascoli i nomadi tibetani, tradizionali custodi della terra, e contemporaneamente incrementano lo sfruttamento delle risorse minerarie e la deforestazione. Gli effetti di tutto questo mutamento ecologico porterà a un impatto ambientale e sociale fortemente negativo sia tra i tibetani che per tutto il continente asiatico.
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Bravo Matteo!
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