New York, a venture (2014)

In un minuto di New York/tutto può cambiare, In un minuto di New York/Le cose possono diventare piuttosto strane”.



«Il refrain tratto dalla canzone di Don Henley potrebbe essere il perfetto “logline”, ossia il sunto promozionale della trama di “New York, A Venture”, film girato a Manhattan la scorsa estate risalendo le correnti di quel Tempo Interiore che irrora le arterie ortogonali dell’isola insonne più famosa d’America. Un Tempo ondivago e frenetico che avevo cominciato a navigare nell’autunno del 2013 durante il mio primo soggiorno tra l’Hudson e l’East River, fendendo le strade affollate con la mia videoreflex brandita come un sestante col quale decifrare la costellazione emotiva che mi avrebbe indicato la rotta verso la faglia mentale dove la New York di superficie s’incunea nella sua controparte incorporea, sul cui fondo da decenni si ammassa l’humus della Storia e delle visioni che l’hanno alimentata. La New York dove l’architettura neogotica della Trinity Church di Saint Patrick e quella dei grattacieli come il Woolworth Building e il General Electric Building fondono lo slancio del sacro e dell’ambizione secolare nella vertigine dell’assalto al cielo, mentre la rinnovata linea ferroviaria della High Line serpeggia sopra le strade trapassando i palazzi fino al Lower West Side, a sfidare con le sue aiuole pensili l’aridità del cemento e del traffico sottostante, dove uomini in doppiopetto ballano scalzi e i predicatori in giubbotti frusti si fermano ai bordi dei marciapiedi inveendo contro le malefiche lusinghe del capitalismo.



È proprio tra le varie scoperte ed incontri collezionati nelle mie febbrili ricognizioni da Battery Park ad Harlem, dal Theater District a Midtown, confluiti in corso d’opera nel documentario “Bryant’s Ode” sotto forma di un anti-racconto per immagini, musica e versi, che qualche mese dopo avrei compreso come dietro la loro apparenza si annidasse il seme di una vera e propria storia che attendeva solo di trovare i suoi protagonisti per essere narrata sullo sfondo di quegli stessi scenari. Uno dei versi del poema, scritto per fare da contrappunto verbale alla prosa visiva del documentario, commentava infatti la Fontana della Pace realizzata dallo scultore Greg Wyatt per il Childrens Scultpure Garden, un piccolo parco dalle reminiscenze edeniche collocato sul lato sud di Saint John the Divine, la cattedrale gotica più grande del mondo, nel quartiere di Morningside Heights, raggiunto al tramonto dopo aver percorso a piedi tutta l’Ottava strada dal West Village fino a Central Park North.



Quell’impasto di fiabesco e grottesco, solidificato nella spirale cromosomica sovrastata da un sole e una luna sorridenti sotto l’arcangelo vittorioso su un Lucifero ridotto a una testa penzolante, divenne subito ai miei occhi la trasposizione simbolica di quell’avvicendamento ciclico tra la componente diabolica e angelica, dionisiaca e apollinea, che vivifica l’anima irrazionale di New York. Fermo nel mio proposito di ritrovare tutte le concatenazioni di senso tra il mio viaggio personale e il potenziale cinematico della Fontana, come nel gioco della “Caccia all’Immagine Nascosta”, si trattava adesso di riportare a galla la “fabula” celata sotto quel formicolante composto di simboli, suoni, ombre, odori e stati mentali fomentati dalla loro continua ricombinazione. Le ricerche compiute nei mesi seguenti sulla storia della Cattedrale e la genesi della scultura non fecero che confermare le mie intuizioni. Come se stessi leggendo in una griglia di Cardano applicata sulla pagina di un antico libro cifrato, venni a conoscenza delle processioni degli animali tenute nella cattedrale, delle colonne apocalittiche del Portale del Paradiso, dell’incendio che danneggiò il transetto nord della cattedrale il 18 dicembre del 2001.



Fu così che, per effetto retroattivo, tutti i tasselli che avevo disposto alla rinfusa davanti a me si ricomposero in una visione cinematografica compiuta, permettendomi di trovare un legame narrativo tra un oggetto innocuo, lo zucchetto bianco con il simbolo del pesce blu, e le fiamme intese come distruzione, purificazione e rigenerazione della vita. Una volta stesa la sceneggiatura, disegnati gli storyboard sulla base dei video e delle foto scattate quell’autunno, composte le prime musiche ispirate alle sonorità gothic-industrial di organi, xilofoni, cimbali, ingranaggi e gong, il casting ha rappresentato l’ultima e più rapida fase, seguendo il rigoroso criterio che tutti gli attori e le comparse fossero newyorkesi o perlomeno residenti a Manhattan.



“Nel vortice del Tempo/Le torsioni del Fato/ Sono spirali giocose di un serpente giallo”. Incluso nel montaggio di “Bryant’s ode”, il verso ricompare in una delle strofe della raccolta “Flames of Vision” recitate da Amy Bolnes, la protagonista del film interpretata dall’americana Kyrie Vickers, fornendo un faro sonoro ad Adam Clairfield, alias Craig Williams, piombato in una cecità improvvisa dopo essere stato colpito accidentalmente alla testa nello Zoo di Central Park. Tuttavia, laddove nel documentario descriveva il raccordo pindarico tra il serpente che si avvolge sulle spalle dei turisti sul ponte di Brooklyn e il piano sequenza circolare intorno alla statua di Fiorello La Guardia, nel film dispiega un più ampio ventaglio di significati, riferendosi in senso figurale sia all’elica del Dna che riassume l’evoluzione della vita sulla terra nella Fontana della Pace, sia a quel rovesciamento che ha sconvolto le vite dei due protagonisti. Quello stesso evento traumatico che più di dieci anni prima li ha allontanati dalla città della loro infanzia, tornerà a farli incontrare attraverso arcani ingranaggi mossi dagli animali rotanti dall’orologio musicale di George Delacorte, dalle immagini sonore stimolate dalle voci dei visitatori del parco, e infine dalla musica d’organo della cattedrale di Saint John. Perché la sinestesia, fenomeno psichico che porta a vedere i suoni e a sentire i colori di cui Adam scopre d’essere affetto fin dall’infanzia, può considerarsi il culmine magico dell’atto artistico. Grazie ad essa un’intera città può essere rivissuta come una sinfonia di colori nella memoria di un fuoco sacro, illuminando l’oscurità del quotidiano dove la gente s’illude di poter seguire la propria strada tenendo gli occhi aperti, ignari che, per usare le parole di Borges ad apertura del film “la cecità è una liberazione, una solitudine propizia alle invenzioni, una chiave e un’algebra”. Una chiave che sarà compito dello spettatore ritrovare al termine del film, dopo aver chiuso gli occhi per riaprire le stanze, buie ma ancora autentiche, dell’infanzia dei propri sensi».



New York, A Venture (2014)

Durata: 34 minuti - Extended cut: 60 min.



Regia: Alessandro Fantini

Sceneggiatura, fotografia, montaggio, musica ed effetti speciali: Alessandro Fantini

Assistente alle riprese: Lincoln Athas



Amy Bolnes: Kyrie Vickers

Adam Clairfield: Craig Williams

La Signora di Central Park: Karen Goldfarb

Il Lunatico di Central Park: Henrik Kim-Rehr

Il primo runner: Vincenzo Fantasia

Il secondo runner: Said Raissi

Kevin Alcott: Alessandro Fantini

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