Hypersonage David

Hypersonage David

I principi ispiratori della serie HYPERSONAGE, di cui il David è una istanza, ad un primo livello di lettura sono concettualmente piuttosto agevoli da inquadrare: si tratta di riproposte in chiave iperrealista di soggetti divenuti ormai vere e proprie dramatis personae del racconto dell'Arte globalizzata, secondo la logica piuttosto incongrua insita nelle culture di massa, nelle estetiche pop, nella fenomenologia del cult.
In verità con HYPERSONAGE si sviluppa un discorso più articolato.
Sin dai prodromi della cosiddetta "morte dell'Arte" e dalle precoci avvisaglie di quelle che sarebbero poi state le avanguardie storiche, gli artisti hanno cominciato a rispecchiare le riflessioni sull'Arte attraverso rivisitazioni delle sue istanze più celebrate; pensiamo solo alla Mona Lisa fumant le pipe, di Eugène Bataille, presentato nel 1883, che prefigura platealmente le due L.H.O.O.Q di Duchamp, la prima del 1919.
Non si tratta semplicemente di una retorica della demistificazione o della parodia, ma ha radici profonde nella stessa crisi dell'Arte moderna che, attraverso l'anti-arte delle avanguardie del XIX° secolo e l'estetizzazione a oltranza dell'immagine (fino all'anesteticizzazione nei confronti dell'immagine), ha poi condotto al processo di dematerializzazione dell'oggetto artistico (lo stesso Bataille può essere perfino considerato un artista concettuale ante litteram, un precursore ma non l'unico di quel tempo).
Il parallelo processo di de-realizzazione, caratteristico dell'Arte contemporanea, nell'HYPERSONAGE collassa invece dentro un gioco di iper-realizzazione.
Lo fa anche attraverso l'alienazione dei suoi testi classici, capolavori oggi privati di ogni forma di aura, ridotti alla funzione di icone della cultura/mercato di massa: alienati, appunto, in quella iper-realtà che è descritta da Jean Baudrillard come una finzione allucinata e mistificante.
Parrebbe quasi una malattia senile dell'Arte che nella contemporaneità non trova spazi per una rigenerazione.
Gli HYPERSONAGE paiono dunque tentare un passo indietro, riportando l'irrealtà della rappresentazione artistica alla realtà, attraverso un escamotage: l'illusione del realismo - o la retorica iperrealista, appunto.
L'iperrealismo si distrae dal corpo della realtà e cerca corpo nell'Arte stessa, mimando una parusia, consapevole che è pur sempre una fata morgana.
Infatti sempre di illusione si tratta e questo statuto traspare nel gioco della scala, perché l'illusione innanzitutto ostenta se stessa e si sbugiarda.
Gli HYPERSONAGE paiono dunque sortire dalla vulgata della storia dell'Arte, emancipandosi dai loro contesti, che sono le opere (i testi), e, come attraversando lo specchio di Alice, si ritrovano in un Paese delle Meraviglie: guardano il mondo e si fanno guardare, mentre nessuno è davvero in grado di intendere chi sia più illusorio, perché l'uno rispecchia l'illusorietà dell'altro, in una mise en abîme che apparentemente non lascia scampo.
Si può sperare ancora di denunciare l'illusoria misalliance del principio di piacere con il principio di realtà? Si può sperare di farlo grazie all'instrumentarium retorico dell'Arte contemporanea?
Gli HYPERSONAGE tentano questa coincidentia oppositorum, sono la personificazione di un'aporia vivente nell'Arte, una prosopopea.

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