Un digiunatore
–Alessandra Baldoni-
“Negli ultimi decenni l’interesse per i digiunatori è molto diminuito. Mentre prima valeva la pena di allestire per proprio conto simili spettacoli, oggi questo è del tutto impossibile. Erano altri tempi.”
Franz Kafka, “Un digiunatore”, 1922
Il racconto di Kafka è una riflessione sulla vocazione e la disciplina necessarie nell’arte, è la storia di un’astinenza portata alle estreme conseguenze. La sottrazione dal cibo, la privazione -metafora dell’arte e della scrittura - sono il terreno su cui il digiunatore si misura, il luogo in cui mostra al pubblico la sua dedizione assoluta al proprio talento. Ma anche quando questo tipo d esibizione –il digiuno per quaranta giorni sotto sorveglianza in una specie di prigionia dove gli è concessa solo un po’d’acqua- passerà di moda e il digiunatore finirà ignorato e dimenticato in un circo non smetterà di digiunare e si spingerà all’estremo, fino alla morte. Perché la sua arte è necessità, non potrebbe essere né fare altrimenti.
“Il filo narrativo del racconto è necessariamente esile. La prima parte è dedicata agli altri tempi del digiunatore. Al suo successo, al rapporto tormentato con il pubblico, e con il mal sopportato (ma ineludibile) intermediario tra la propria arte e quel successo e quel pubblico: l’impresario. Personaggio che, strutturalmente, non comprende l’arte ed è a sua volta incomprensibile dall’arte. Ma, la mancata compresenza dei due elementi non permette all’arte di essere esibita, di avere un tramite. Va da sé, questo è il punto focale di secoli di teorie, battaglie ed elucubrazioni. E non si pretende certo di darne qui soluzione, se mai ci fosse. Basta sottolineare come Kafka riesca, con una semplicità abbacinante – e disarmante – a dire la contraddizione senza il minimo trucco o fronzolo fornendo, forse senza intenzione, un esempio perfetto di cosa, quest’arte, sia. A un certo punto, arbitrario, i tempi diventano tempo e il passato remoto indefinito diventa in qualche modo presente remoto implacabile. Il successo finisce, l’interesse del pubblico si sposta verso altre forme di spettacolo, il sodalizio con l’impresario ha fine. Il digiunatore viene scritturato da un grande circo, che lo sistema tra le attrazioni secondarie, vicino alle stalle degli animali. Il tempo, dopo l’apparente stasi, comincia a correre e, con lui, il silenzio. Il digiunatore viene letteralmente dimenticato e raggiunge quel solipsismo forse cercato, l’assolutizzazione dell’arte che coincide con la morte.”
Fabio Donalisio, «Blow up»
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