Diner Strike
L’installazione prefigura un pranzo che non ci sarà. Sul tavolo si posano due mani che stringono una forchetta in una e un coltello nell’altra. Sul lato opposto del tavolo si scorge un piatto vuoto. Nel mezzo, tracce sciolte di una materia cerata. Un cibo liquefatto non più masticabile. Forse questo sciopero della fame più che voluto è imposto. Il tavolo si solleva in un’assenza di gravità, come se non appartenesse alla terra, ma etereo si pone al di sopra. Una consumazione, una sussistenza che si pone in lontananza e diviene un’immagine fissa da poter soltanto osservare dal basso della nostra misera condizione.
Tale atteggiamento ha che fare con il terrore di una prospettiva inesorabile del fallimento in quanto diretta conseguenza della disoccupazione, e della mancata integrazione come insuccesso inesorabile.
L’opera divine dunque un pretesto per la creazione di un evento o di una sculture che possa entrare nella memoria collettiva sotto forma di icona, in grado di comunicare più di un testo scritto, precisamente per la ragione diametralmente opposta che fa di un’icona un’immagine memorabile: per il suo aspetto dissacratore.
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