Black Sabbath
Come in uno spezzone di pellicola si scorge un frammento di storia fittamente intessuta di personaggi, che “sgomitano” per mostrarsi e raggiungere il centro della scena, dove più densa è l’azione e, maggiori, le possibilità di protagonismo.
Visto dal vivo il quadro mostra infatti una forte convessità centrale, dove la materia va ad accumularsi e con più forza “respira” attraverso alveoli circolari, dal fondo a specchio, che provvedono anche a catturare la luce.
L’opera si carica così di energia e, come un microcosmo sotto la lente, brulica di organismi viventi in movimento, ciascuno inscindibile dall’altro, ma tuttavia in grado di mantenere la propria individuale identità.
Inutile tirare in ballo Pollock, quanto a riferimenti storici, nemmeno nel suo periodo più materico, quello del sand painting. Vi è certo un’analogia formale nel caotico intreccio di linee e tonalità cromatiche, ma qui il percorso è ben diverso dall’attività spontanea e quasi inconsapevole dell’Action Painting.
Vi è infatti una buona dose di progettualità in quest’opera, che mira ad ottenere un certo risultato compositivo, al di là delle “libertà” che autonomamente “si prendono” le centinaia di frammenti di materie plastiche di scarto, trattate ad alte temperature.
Ogni pezzo è infatti fuso fuori opera e poi assemblato, sempre a caldo, con gli altri, in rigoroso ordine gerarchico.
Di inaspettato c’è però l’atmosfera inquietante che si è venuta man mano a creare all’interno del quadro, vuoi per le volute plumblee del materiale fuso, che ricordano i panneggi del Dürer incisore, vuoi per alcuni tratti vagamente antropomorfi che assumono alcuni frammenti.
A ciò si deve il titolo, scelto non come omaggio all’Heavy Metal d’epoca, ma proprio per il suo letterale senso di “sabba”, aggregazione esoterica di evanescenti creature senza nome.
Commenti 2
bellissimo
ciao
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