Crossing Borders With a Mirror

Crossing Borders With a Mirror

I “confini mnemonici” possono essere visti come confini immateriali che rimangono dopo la caduta dei confini reali. Esistono confini mnemonici come limitazioni auto imposte in termini di abitudini, stili di vita, comportamenti e sono legati a un precedente limite "reale".
Ci sono diversi studi che sottolineano questo comportamento negli animali: In Germania, i ricercatori hanno scoperto che i cervi rossi continuano a non attraversare il confine della vecchia cortina di ferro, una volta protetto da filo spinato, armi automatiche e recinzione elettrica.
Gli animali hanno tutt’ora la percezione del confine, una volta mortale, anche se sono nati dopo la rimozione della recinzione.
Lo stesso accade per gli esseri umani.
A Berlino, molti anziani si sentono a disagio per l'attraversamento da Berlino Est a Berlino Ovest, ma non sanno esattamente spiegare perché.
Qualcosa di simile accade alle persone che iniziano ad avvicinanarsi alla e-communication.
Economia partecipativa, economia circolare, economia delle reti, si basano principalmente sull'interazione tra persone, spesso distanti tra loro. E-communication ed E-collaboration stanno diventando sempre più importanti e la capacità di lavorare, di produrre e di esprimere le proprie competenze in un E-ambiente stanno diventando punti chiave per la maggior parte dei lavoratori.
Ma la maggior parte delle persone non é in grado di gestire questo tipo di comunicazione.
Moltissime persone si sentono a disagio e cambiano il loro modo di interagire. Si percepiscono in comunicazione non con un altro essere umano, ma con una macchina.
L'idea comune è che la comunicazione tramite strumenti elettronici sia solo una questione di procedure, di apprendimento e di abitudine. Ma in aggiunta a questo, la maggior parte delle persone si sentono semplicemente non in grado di esprimersi in ambienti elettronici.
Non si tratta di decisioni razionali, o di pregiudizi sui dispositivi elettronici. La maggior parte delle persone semplicemente si sente più a proprio agio quando parla faccia a faccia o quando utilizza un telefono cellulare, senza saperne identificare la "ragione".
L’idea alla base di questa installazione è che ci possano essere dei “confini mnemonici”, legati all’idea del Computer e del video come macchine locali, a “senso unico”, dalle quali ricevere informazioni ma con le quali non sia possibile interagire direttamente. Chi parlerebbe a una macchina, ad esempio a un televisore, se non un pazzo?
Vogliamo esplorare come e se l'uso di una "macchina" sia un limite per i comportamenti individuali, o un'occasione per esplorare nuovi mondi e conoscere nuove persone.
Vogliamo esplorare il concetto di "virtuale" e "reale", come nella e-communication gli esseri umani non interagiscono in un ambiente "virtuale", ma l'ambiente virtuale è semplicemente il tramite, collegamento di due luoghi reali attraverso uno spazio virtuale.
Come questo "mediazione" virtuale cambia la percezione individuale degli altri, come sono visti attraverso una "finestra elettronica"? Come la comunicazione elettronica ci dà la possibilità di cambiare il nostro punto di vista?
Vogliamo indagare da un punto di vista artistico questi concetti.
“Crossing Borders With a Mirror“ è un'installazione basata su uno specchio interattivo con un PC all'interno. Lo specchio può autonomamente interagire con i visitatori.
La domanda è: CHI E’ L’INTERLOCUTORE?
Stiamo parlando CON UNA PERSONA, oppure CON UNA MACCHINA?
Stiamo parlando in locale, o stiamo interagendo a lunga distanza?
Siamo “qua” o siamo “là”?
l’installazione porta alle estreme conseguenze questo senso di spaesamento e lo amplifica.
Ribaltiamo il ruolo della “macchina”, rendendo palesi i cambi di ruolo e forzando lo spettatore a confrontarsi con la macchina stessa.
Il mezzo informatico non è più un tramite, ma diviene un attivatore.
L’iniziativa di far partire il collegamento non viene da un umano che “usa” l’informatica.
In “Crossing Borders With a Mirror“ è l’installazione che vede arrivare un umano e interagisce autonomamente con lui.
Non vi è, inizialmente, uno spazio virtuale, ma un’interazione locale macchina-umano.
Una volta terminata la prima fase di scambio tra macchina e umano, è la macchina a chiedere se si vuole tentare il collegamento remoto con un umano distante. Se l’umano locale risponde affermativamente, la macchina prova a contattare l’artista, che è a migliaia di chilometri di distanza.
L’artista sarà in diversi luoghi in Europa, per tutta la durata della mostra. Lo spettatore non saprà in anticipo verso dove sarà effettuata la chiamata. Sa esattamente dove è in quel momento, ma non sa dove sta andando col collegamento.
In questo senso, il “virtuale”, ovvero il collegamento in sé, è un elemento di indeterminatezza e aumenta il senso di spaesamento: come è possibile che una “indeterminatezza” colleghi due luoghi reali?
L’artista risponderà se sarà davanti allo schermo in quel momento, ma potrebbe essere momentaneamente via.
Se è presente, risponde e la comunicazione diviene umano-macchina- umano e la macchina si trasforma in tramite.
Se invece non risponde, l’interazione rimane a livello macchina-umano e la macchina è interlocutore.
L’artista quindi è “chiamato” dalla macchina e se risponde vi è una interazione. Se non risponde, lo spettatore ha comunque interagito con l’artista in forma mediata, attraverso la sua creazione.
Ma sono due mediazioni differenti: in entrambi i casi vi è un rapporto spettatore-artista e vi è una mediazione della macchina, ma le due esperienze sono molto differenti ed escludenti l’un l’altra.
Quale è la situazione più “REALE”? Quella in cui lo spettatore “parla” con l’artista in TEMPO REALE ma attraverso uno spazio di mediazione virtuale, oppure quella in cui lo spettatore NON parla con l’artista, ma non vi è alcuno spazio virtuale coinvolto?
E’ più reale un’interazione locale non virtuale macchina-umano, oppure una interazione umano-umano ma con l’interposizione di una macchina?

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