Bolle

Bolle

L’impressione che si avverte, contemplando le opere di Andrea Calabrò, è la medesima che sale allorquando si sta davanti a una vetrata policroma ove la luce, che si diffonde traverso le aree colorate, sembra non risentire del filtro che la materia tuttavia vi esercita spiegando, così, l’intera gamma delle emozioni.
Il disegno, assai evidente dai contorni, distingue gli spazi e le campiture ma il cromatismo, soffuso e cangiante all’interno di ogni area, rende l’intera scena pittorica come una percezione di un che assorto e meditativo. Tutto è sospeso e trasparente, tutto si muove in un dinamismo volatile e composto in cui le figure sembrano fluttuare in assenza di gravità e lieve ci avvolge la sensazione di star immersi nell’aura di un silenzio in cui si fa parlante l’opera attraverso il senso, sotteso all’immagine, secondo un procedimento che non ci vietiamo di definire di ordine semantico-evolutivo.
In “Bolle”, siamo davanti a un paesaggio scandito da flessuose linee che mimano il curvarsi delle colline, quasi labbra chiuse - direbbe il poeta immginifico - poste in successione cromatica ben evidenziata, su cui vanno diladarsi le idee arboree – ché tali sono - emergenti ora da un soffuso ed impalpabile e candito vapore, ora da rubescenti e marcate superfici che si arrestano di contro a uno sfondo in cui pullulano e ‘prillano’ sfere leggere multicolori.cìè in questa visione tutta l’espressività, diremmo filosofica, della manifestazione ideale delle cose, un’astrazione visiva del mondo interiore delle forme ove è assente l’elemento umano, quasi a significare il disvelamentodella sacralità di una natura ancora primigenia ed incorrotta.
Prof. Luciano Pranzetti - Roma 28.10.2014

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