Je porte the fire

Je porte the fire

Il progetto indaga, scandaglia, scava nel mio personale.
E il mio personale assorbe come una spugna tutto ciò che di esterno gli preme addosso.
Come un panno troppo intriso, gronda e rilascia frammenti, a volte gocce solitarie, a volte nodi avviluppati dove spesso il personale è a forza contaminato dal sociale. Dove il sociale ferisce il mio già fragile stato esistenziale. Dove, spesso, tutto è troppo e lasciar grondare diventa una salvifica necessità.

Il linguaggio diventa spesso simbolico e surreale; l’immagine evocazione; la scritta pregnanza di uno stato d’animo; la serialità necessità narrativa.
Il progetto si articola in due corpi staccati, specchio l’uno dell’altro.
Uno è composto da una serie alternata di sette tele nere e di tela grezza.
Qui è un incontro – scontro.
Qui alle immagini e alla scritte e ai numeri, cucita con il filo e il modo dell’imbastitura, compare sul nero una linea tratteggiata, come precaria possibilità di ricucitura tra dentro e fuori.
L’altro corpo è composto da un cartone autoportante e chiuso su se stesso sino a formare un solido irregolare senza basi.
Esso parte da una necessità decisamente più personale.
E’ contenitore – contenuto, spazio dentro uno spazio.
Su di esso si dipana una figurazione narrante. Intima, delicata e lacerante insieme, essa lega l'intervento dell'artista al il supporto dove il cartone viene a volte "spelato", "scarnificato", a volte "salvato" nella sua superficie.
Amalgamandosi con segni, scritte, disegni pitture ad acrilico, esso diventa parte integrante della narrazione, sorta di fragile Ara Pacis personale.
Il tutto precaria Ara pacis contemporanea.




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