TRAN-sito

TRAN-sito

Pittura, Natura, Figura umana, Tecnica mista, 300x120cm
TRAN-sito
di Dalila Chessa

Ricorrendo a pochi ed essenziali elementi, in “TRAN-sito” Dalila Chessa tratteggia con colori e figure rievocative la densa storia di un territorio come la Maremma che nel tempo ha saputo offrire le risorse necessarie al sostentamento senza però mai lasciarsi stravolgere dall’operato esogeno e talvolta estremamente invadente dell’uomo. A differenza di altre aree della Toscana, negli anni la Maremma ha mantenuto la propria conformazione fisica, non ha subito massicci interventi edificatori, non si è lasciata fagocitare dal frenetico trascorrere del tempo, ma ha gelosamente conservato il suo “essere”. Da qui l’intuizione, l’esigenza di Dalila Chessa di voler raccontare la vocazione di un territorio che sembra trovarsi sospeso nel tempo e nello spazio, tra cielo, terra e mare, lontano da ogni logica contemporanea. Una sospensione che invoglia quasi ad “andare oltre”, come suggerisce il titolo, ma non prima di averne indagato le origini.
Il trittico, oltre a fissare una scansione temporale, a raccontare un avvicendarsi di momenti storici, individua anche dei precisi passaggi, come le origini etrusche che continuano a emergere dagli scavi, la vocazione mineraria, la bonifica di terreni insalubri, la progressiva inclinazione all’agricoltura e al pascolo, l’aspirazione a un futuro che stenta a tratteggiarsi con precisione. Le trasformazioni sono lente, quasi impercettibili, animate da percorsi quasi irreali.
La prima tela punta l’attenzione sull’essenza stessa della Maremma, ossia la terra, e in particolare l’humus, la parte più ricca e fertile, quella da cui ha origine la vita, indipendentemente dal suo aspetto. Gli esseri umani, gli animali e le rocce, sono tutti elementi essenziali di un percorso di crescita. E così la figura umana si fa tutt’uno con gli altri elementi della natura, quasi a fondersi. Ma per gran parte del territorio grossetano la terra significa soprattutto sottosuolo, ossia miniere. Quelle miniere di carbone, di mercurio, di minerali di ferro che hanno dato lavoro a tanti uomini, molti dei quali vi hanno perso la vita. Ed è proprio la tinta ocra, che richiama il colore della terra ossidata da sostanze ferrose, quella scelta dall’artista per caratterizzare la parte più superficiale del terreno, quella che trasuda sudore, fatica e sangue, rappresentati dalle colature che percorrono la tela.
Nella prima metà dell’Ottocento inizia la bonifica, il terreno si libera dalle masse di palude e dalla malaria, rendendolo accessibile alla produzione agricola, rappresentata nella seconda tela. Qui una figura umana si presenta in tutta la sua forza come protettrice della terra e custode, oltre che del proprio nucleo familiare, anche del bestiame. Generosa fattrice di sostentamento, la terra continua però a chiedere sudore e fatica. In questo quadro Dalila si svela allo spettatore con un piccolo stratagemma, in una sorta di intimo intendimento. È dell’artista, infatti, l’occhio della donna riportato sulla tela con un sapiente collage, quasi a sottolineare il suo intimo coinvolgimento ¬¬in quanto rappresentato. Le è proprio, infatti, un continuo richiamo all’istintivo rapporto tra uomo e animale.
Si arriva alla terza tela seguendo il fil rouge del tempo e della crescita. Non è più epoca di etruschi, di miniere e di pascoli, ma è il momento di guardare oltre e individuare nuovi percorsi. Resta memoria di ciò che è stato, a richiamarlo l’ocra della terra ossidata per l’attività estrattiva e il terreno fertile e fecondo su cui crescono degli alberi, disposti a donare protezione di fronte alle intemperie della vita. Permangono la fatica e il sudore, ossia le colature sulla tela, costanti nel percorso della civiltà che ha deciso di non arrendersi, ma di guardare oltre e individuare un nuovo cammino da percorrere, restando ancorato a quella terra “amara” che è la Maremma.

Chiara Balloni

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Commenti 1

raimondo izzo
9 anni fa
raimondo izzo Artista
bel lavoro

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