Quel événement imprévisible
La sua particolarità, sulla quale si basa l'opera, è quella della inutilizzazione del forte, nel corso degli anni, a fini bellici. Accade, infatti che con il Trattato di Utrecht nel 1713 la Francia abbandona il Piemonte e il confine si allontana verso Est, facendo divenire Briancon la prima città di frontiera.
Mont-Dauphin non conoscerà mai la guerra fino al 1940, circa 250 anni dopo la sua costruzione, quando una bomba italiana lanciata dall'alto per sbaglio ditrugge una delle ali dei due arsenali.
Il suo scopo come architettura è rimasto sempre concettuale e sulla carta, divenendo a tutti gli effetti una costruzione utopica, priva dello scopo per cui era stata creata.
Il mio desiderio attraverso l'opera è di porre attenzione – attraverso un video di pura osservazione che segue i parametri del cinema del reale - sull'architettura utopica del forte e la sua mancata utilizzazione a fini bellici, tematica a mio avviso capace di sollevare molteplici questioni attorno a differenti tematiche: il concetto volubile di frontiera, il cambiamento nel tempo della pratica bellica, l'intelletto del genio civile che si confronta con la natura.
Da questo primo spunto riflessivo sull'architettura utopica che include e sviscera il dualismo natura/struttura e la correlata riflessione del rapporto tra intelletto umano e spazio, vorrei concentrarmi sul dualismo struttura/uomo attraverso il tema dell'attesa che riprende – dallo spunto reale che ha coinvolto il forte con il Trattato di Utrech e la perdita della sua utilizzabilità a fini bellici- in maniera spontanea il tema fondamentale di un romanzo centrale nella storia della letteratura italiana, Il deserto dei tartari di Dino Buzzati-.
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