ECO: NAUFRAGIO DEL PENSIERO
OCE: OIGRAFUAN LED OREISNEP
300x150x1cm
Installazione con foglie, specchio e vetro soffiato
2012
"L’opera che perdura è sempre capace di un’infinita e plastica ambiguità; è tutto per tutti […]; è uno
specchio che svela tratti di chi la guarda ed è insieme una mappa del mondo."
Jorge Luis Borges
… Un bulbo/goccia, sospeso – quale pendolo arcano d’alchimista -, “incombe”inquietante su una
superficie specularmente riflettente, “circondata” da un serto di foglie che funge da delimitatore
degli eventi e da restitutore della fisicità all ’insieme. Nella dimensione dialogica si consuma
l’atemporalità di una relazione in divenire.
RIFLESSIONI IDENTITARIE: VIRTUALITA’ DELL’ ESISTENTE
Tutti siamo a conoscenza del mito di Narciso, il quale per e nel contemplare ossessivamente la propria immagine riflessa su uno specchio d’acqua - immagine di cui si era perdutamente innamorato - finì col precipitarvi dentro! Il “virtuale”, quindi, che, fin dai tempi della Mitopoiesi, prende, spesso, il sopravvento sul reale al punto da disidentificarlo, destrutturarlo o, addirittura, nihilificarlo… Con, attraverso e “dentro” lo specchio ci si ammira (non a caso il corrispondente termine inglese è mirror), ci si “rifrange”, ci si “gioca” (da notare l’assonanza, quasi “ludica”, con la voce tedesca spiel), ci si perde come all’interno uno “speco” - la caverna, appunto, intesa come un grande speculum eretto a sostruzione stessa dell’omonima “fabula” platonica -. Gli è che se andiamo ancor più indietro nel tempo ci imbattiamo nella radice indoeuropea *SPAC- da cui derivano lemmi come il suddetto specus (“il foro attraverso cui si può esplorare ciò che, invece, si vuol salvaguardare dall’ingresso non gradito della vista”) e, pur anche, suspicio (non si è, in realtà, quasi mai colti dal “sospetto” - come vedremo più avanti - che lo specchio ci possa “ingannare”!) e spia (l’osservatore che “tradisce”), spezia (la preziosa singolarità da mirare e, di per ciò stesso, da appetire) e species (l’aspetto o l’apparenza in quanto figura esterna che “si vede”). Quante cose, quante storie può “generare” uno “specchio”! Emblematico è, sempre, a proposito delle considerazioni di cui sopra, l’inquieto e reiterante interrogativo della matrigna di Biancaneve: «Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del Reame?» (E conosciamo bene quale “opportunistica” risposta dia l’ovale in nitrato d’argento!). E che dire dello “specchio-ritratto” di Dorian Gray? La metafora wildiana è chiara: la specularità effigiativa potrebbe cristallizzare (trans)fisicamente una dimensione di pseudobellezza temporale con, sottesa, una adamantinità etica, rendendo infingente una realtà che, alla fine, diventa intollerabile: un macigno demoniaco ed, appunto, narcisistico, che non può avere altro esito che l’autodafè del proprio vero(?) vissuto. Il seducente specchio in oricalco di Cleopatra; il destruente specchio ustore di Archimede: la leggenda che si fa Storia, la Storia che si fa leggenda… Ed ancora: lo specchio della psicoterapeusi, quella, ad esempio, di Scuola cancriniana (per restare in Italia) in cui la cesura tra l’essere “vissuti” dal disturbo e l’“osservazione” post-transazionale del medesimo diventa semanalisi, seppur mediata, di un soggetto sofferente. E non casualmente, ad esempio, a casalinghe insoddisfatte (novelle Cenerentole dalla “consapevolezza riflettente”) il terapeuta-sciamano può chiedere se, appena sveglie, esse guardino il cielo ovvero se stesse… (allo specchio). Uno specchio che, comunque, si può anche rompere, spezzare, arrecando così i segni di infausti auspici, di orizzonti non lieti di eventi. In effetti, tra i nostri antenati il riflettersi di un’immagine, come la maggior parte dei fenomeni fisici, era antropologicamente considerato alla stregua di un segno divino, quindi frutto di un prodigio o di un maleficio e, come tale, temuto: il frantumarsi, pertanto, del veicolo deputato fedele alla “duplicazione” di tutto ciò gli si pone di fronte, si traduceva nella morte di una parte della nostra anima. Ed è proprio in base a tale concetto, ad esempio, che ancor oggi molte tribù aborigene non accettano di essere fotografate, ritenendo ciò un autentico furto della loro “essenza” spirituale. Ma lo specchio, un semplice specchio - così come il supertecnologico telescopio “Hubble” - ha anche una sua funzione epistemica. Infatti entrambi gli strumenti ci “raccontano” il nostro passato: il mezzo d’osservazione spaziale quello di miliardi di anni fa - ammettendo la teoria einsteniana dello spazio-tempo -, quando si formarono le primissime, e ormai morte, Galassie; lo specchio quello di alcune frazioni di nano-secondi antecedenti allo stesso rispecchiamento, essendo l’immagine rimandata dall’oggetto speculare più “vecchia” rispetto all’istante in cui essa viene percepita dal soggetto osservante!
Dimensioni affascinanti, dunque, che qui convergono in un’indagine diversificata ed esperita da molteplici punti di vista e con svariate possibilità espressive. Queste testimoniano, di fatto, come dall’analisi della corporeità e della sua struttura anatomica (e prossemica); dalla stessa indagine della natura fenomenica ed esistenziale, possano nascere e articolarsi nuovi interrogativi e possibili soluzioni. Il nucleo tematico è stato incentrato sull’indagine conoscitiva del SÈ offerta ad un riflesso che si fa attento sguardo: divenendo quell’altro da SÈ indispensabile ad una ridefinizione identitaria.
Marilisa Yolanda Spironello
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