MEMORY
Quest’opera si pone come un’installazione interattiva perché, senza un pubblico con cui interagire, non si compierebbe pienamente il suo significato.
Lo spettatore, trovandosi di fronte al titolo dell’opera che ricorda un noto gioco in scatola, è chiamato in causa nel fruire il lavoro, “giocando” a girare le tavole dal lato dell’immagine.
Le fotografie affisse sulle tavole consistono in due raccolte, o collezioni, appartenenti ad un membro della mia famiglia. Per esempio le monete che mio padre ha raccolto insieme al suo, sono l’unica forma d’archivio rimasta intatta per testimoniare e ricordare il lungo viaggio che negli anni del Dopoguerra li ha portati dall’Etiopia in Italia.
Proporre immagini fotografiche a terra e trasformarle in componenti di un noto gioco di memoria, identifica una metodologia d’approccio alternativo ai documenti d’archivio, che definiscono un’identità latente, per “giocare” con il concetto di memoria personale e con il valore della percezione visiva dell’archivio, offrendo a queste tematiche la possibilità di allargare i propri orizzonti a nuovi ambiti di riflessione. Le mie scelte sono state sicuramente influenzate dalla concezione foucaultiana dell’archivio, che non va percepito come un luogo chiuso, ma come una pratica aperta utile a comprendere l’origine primaria della comunicazione umana basata su simboli e segni che si succedono, si scompongono, si ricompongono, si sovrappongono e poi spariscono, secondo le leggi che regolano la sua stessa esistenza. Attraverso una reattiva stimolazione della memoria ammantata dalla scusante del gioco, le connessioni visive tra immagini aumentano le possibilità personali di creare relazioni cognitive in un gioco che mette in campo il binomio memoria/ricordo attraverso effetti del passato.
Oggi viviamo in un’epoca in cui assume un nuovo valore lo spazio in relazione al tempo. Uno spazio-tempo in cui la dislocazione, dovuta alla sempre più prominente virtualità della vita, determina la nascita di luoghi effimeri ed indefiniti in cui poter garantire la consapevolezza della propria identità. Sembra che il mondo sia diventato una rete che collega i punti di convergenza tra realtà reale e virtuale, ampliando le possibilità in cui l’uomo può identificarsi.
Tutti si assomigliano e si comportano nello stesso modo ogni giorno di più. Il gioco si pone come un sistema in cui la ripetizione inserisce lo spettatore in un contesto ove gli vengono fornite le istruzioni per trovare se stesso nell’archivio della mia famiglia. La ripetizione delle immagini ha lo scopo di tradurre, attraverso il gesto artistico, il concetto derridiano secondo il quale l’identità si afferma nel momento in cui viene riflessa, dichiarata e annunciata a partire da ciò che viene dall’avvenire. Una ragione d’esistenza diventa certa solo dopo che un evento l’ha resa provvisoriamente incerta, attraverso un processo che Derrida definisce di “distruzione anarchiviante”.
La fruizione del lavoro non pone nessun limite in merito alla contemplazione dell’installazione, le coppie di immagini possono essere svelate tutte e poi ricoperte, in alternativa, lo spettatore può scegliere se svelarne solo una e lasciare tutte le altre a rovescio.
L’installazione, posta in questi termini, offre un contesto nel quale lo spettatore deve creare di per sé la realtà che vuole vedere, il diritto di scelta è un diritto che spesso viene a mancare in una società di massa in cui la vita si sta sempre più automatizzando. Memory rappresenta per me la possibilità di scegliere.
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