Body Identities #06

Body Identities #06

Rayographs è una narrazione attraverso la Figurazione, poiché non vi è altra via se non tramite le Forme per contenere il senso classicamente panico insito nella Realtà. Essere creativo significa essere intriso di immagini che non possono giacere inespresse, ma che hanno l’urgenza di emergere attraverso Logos e Téchne. La radiografia dell’Io ha un carattere poetico e contemporaneamente scientifico ed esplicita un saper pensare ma anche un saper fare, patrimonio raro dilapidatosi nella facile accessibilità alle tecnologie di massa. La finalità ultima è il raggiungimento di una contemporanea poetica della Bellezza. Vi è un limine sottile che differenzia la capacità di esprimersi attraverso Metafore e non Similitudini. Il sentore dell’arcano traccia il suo percorso secondo antagonismi: pieno-vuoto, materico-aereo, statico-mobile: Rayographs inscena una rappresentazione, un kafkiano racconto al contrario. La suggestione iniziale deriva dalle antiche Wunderkammern, un mondo arcano e statico, legato al dibattito sulla museografia, dove l’atto del collezionare «cose morte» presume la negazione del fluire della Realtà. Cogliendone la sfumatura onirica, Rayographs trae l’idea di ricalcare le trame esoscheletriche- così simili alle più contemporanee architetture- per tessere bozzoli di seta dove l’Identità possa celarsi. La conoscenza approfondita della tecnica sartoriale permette di esprimere ciò che il frenetico mercato attualmente non concede: riflessione, trasformazione, continuità. Un abito (inteso come atto dell’abitare) si evolve in un altro, spinto da una costante ricerca sulla visibilità del corpo, fino all’ Autorappresentazione. Il racconto diviene un’ indagine radiografica, ispirata al gesto compiuto da Moholy Nagy o Man Ray d’evidenziare la struttura intima dell’oggetto. La luce diventa un leit-motiv. Essa penetra gli interstizi della materia, focalizzando la tematica compositiva che soggiace alla rappresentazione: la Doppia Pelle in Architettura. Così come il brutalismo della struttura edificata è avvolto dalla membrana del vetro, allo stesso modo costruendo volumi ex-centrici, il corpo si avviluppa in ragionate trame aeree indipendenti che se ne distaccano come pelle essiccata. E’ palese il legame con la fotografia. L’ utilizzo dell'apparecchio a foro stenopeico evidenzia l'illusione esistenziale dell'individuo, la differenza che c'è tra vivere ed esistere. Il tempo oggettivo è lineare, metronomico, quello soggettivo si dilata e si concentra, i secondi possono essere più lunghi dei mesi. I nostri pensieri sono quasi sempre una chiacchiera mentale, che si snoda nella nostra mente incontrollata. In questa condizione il tempo scorre quasi senza lasciare traccia del suo passaggio; la vita si riduce ad un'esistenza incolore, inodore. Ecco che il contrasto tra la fissità delle architetture e l'evanescenza dei corpi umani, tipici delle immagini stenopeiche, diventa una metafora della vita che scorre automaticamente ed anche lo specchio nel quale ci riflettiamo. La radiografia serve per indagare all’interno dei corpi per fini diagnostici o per verificare la solidità delle strutture. In senso lato può significare un'esplorazione all’interno di se stessi, energica, oggettiva. Considerando l'aumento inesorabile dell'entropia, solo con una "radiografia" possiamo riuscire a penetrare negli strati di scorie, rifiuti, sovrastrutture che accumuliamo giorno dopo giorno e ritrovare un’eco della nostra essenza.

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