La via degli Eterni
di Gigliola Foschi
Può la fotografia sfuggire al vincolo impositivo dell’oggi? Può evocare il passato e aprire un piccolo varco nel tempo? Pur consapevole che alla fotografia non è concessa la negazione o la fuga dalla contemporaneità, Eva Tomei s’impegna a trasformare le sue immagini in un regno del possibile che si protende dalla realtà. Affascinata dal Mediterraneo e dalla sua storia millenaria, l’autrice esprime con la sua opera il desiderio di andare oltre un vedere descrittivo che ne indaghi le attuali sofferenze: spiagge implacabilmente invase da ombrelloni e bagnanti; colate di cemento abusive e non; folle di disperati che solcano le sue onde su barconi insicuri, spinti dal sogno di fuggire dalla disoccupazione, dalle guerre, dalla miseria, dall’assenza stessa di ogni speranza… Se mai Eva Tomei cerca di seguire i suggerimenti di Braudel che, parlando del Mediterraneo, scriveva: “Il mare bisogna cercare di immaginarlo, di vederlo con gli occhi di un uomo del passato: come un limite, una barriera che si estende fino all’orizzonte, come un’immensità ossessiva, onnipresente, meravigliosa, enigmatica”. Così, Eva Tomei, con l’immaginazione s’immedesima in Odisseo, ne segue il peregrinare tra la terra dei Ciclopi, l’Ade, Scilla e Cariddi… Studia con cura i percorsi di questo mitico viaggiatore e sogna anche lei di poter raggiungere l’agognata Itaca.
La sua non vuole essere una fuga nostalgica per sfuggire agli ingorghi della quotidianità e immergersi in un passato ormai solo immaginato. Ciò che la spinge al viaggio è forse il bisogno di verificare se oggi, in quegli stessi luoghi visitati da Odisseo, è ancora possibile fare l’esperienza di un Mediterraneo come madre della nostra cultura e del nostro sentire. Lei si chiede cioè se, liberando lo sguardo da ogni schema preconcetto, la visione possa nuovamente meravigliarsi e stupirsi come se si trovasse di fronte a qualcosa di ignoto, che si mostra ai nostri occhi per la prima volta. E in questo modo cerca di risentire tutta la forza, la presenza fisica degli elementi primigeni: le rocce che cedono il passo al mare, le maestosità vulcaniche della terra, le pieghe del magma che eruttano vapori...
Lontana da un lavoro di documentazione archeologica o di illustrazione geografica, la ricerca di Eva Tomei è un viaggio nella memoria, dove nulla è certo, dove la realtà non viene tanto descritta quanto piuttosto immaginata e interpretata. Un viaggio alla ricerca di quei luoghi – a volte segnati dalla contemporaneità, a volte negletti, a volte magnifici – dove lei avverte un’intensità di energie marine e terrestri, o dove il passato viene suggerito ed evocato proprio grazie a immagini “sporche”, notturne, inquiete ed espressioniste. Al regno delle indifferenze, a quello dei vuoti paesaggi da cartolina, Eva Tomei oppone un mondo fatto di apparizioni, di incontri, dove la macchina
fotografica si trasforma in uno strumento che va oltre il mero desiderio di documentare, per sprigionare invece le emozioni. I soggetti delle sue immagini a volte sono sfocati, a volte evanescenti, ma non per suggerire alcunché di volutamente onirico e neppure per un virtuosismo neopittorialista. La sue non sono mai fotografie soggettive, narcisisticamente introspettive: si limitano – e in questo sta la loro forza – a tradurre come un delicato sismografo l’intensità di un incontro nato dalla capacità di sentire e amare la forza della terra, delle rocce, del mare, malgrado i segni disgreganti lasciati oggi dall’uomo.
Diversamente dal celebre lavoro di Mimmo Jodice dedicato al Mediterraneo, qui l’autrice non evita infatti le tracce del presente. Mentre il grande fotografo napoletano era alla ricerca di quei luoghi che ancora possedevano un loro genius loci, un se nso di eternità che li pervadeva come un’aura, e ha quindi realizzato immagini volutamente sospese nel tempo, Eva Tomei cerca il passato nella realtà di oggi. Sembra volerci suggerire che, nonostante il mare sia solcato dalla scia di un motoscafo, è possibile ancora a evocare un senso d’immensità e di pace. Ci fa sentire come il cono poderoso dello Stromboli (l’isola di Eolo), seppur visto dietro il finestrino appannato di un battello , emani ugualmente, o forse ancor di più, una forza misteriosa e posse nt e. Per lei, così come per Mimmo Jodice, il passato non è infatti qualcosa di inerte da guardare con malinconica nostalgia, ma rimane ancora attivo dentro di noi e nei luoghi del Mediterraneo: ha una sua vita, una sua intensità arcaica e sacrale, che ci può sempre pervadere.
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