Dormienti
Il mio punto di vista è stato quello di cogliere l'intimità non tanto nella location della fotografia (a casa, con la famiglia, in situazioni private) o nella modalità dell'oggetto della foto (abbigliamento, espressioni, atteggiamenti, ecc.), quanto in una specifica situazione: nel momento in cui la persona fotografata sta dormendo.
Il tutto in una situazione peculiare: il vagone di un treno in movimento.
Frammenti di esistenze in viaggio, in un punto senza spazio preciso e senza tempo definito, in una finestra spazio-temporale sospesa.
Un momento - quello del sonno - decontestualizzato dalla modalità che di solito gli appartiene.
Quando ci si addormenta in treno lo si fa per scelta (cogliendo l'occasione per riposare un po') ma più spesso perché accade, più o meno repentinamente, anche se si prova a resistere, cullati dal movimento, dal clima o dal brusio intorno.
E' quello un frangente in cui si rivela in modo estremamente intimo - senza poter mettere freni o paletti - una sfera della propria condizione solitamente riservata a persone molto vicine. In questo preciso contesto, sul sedile all'interno di un vagone, il sonno finisce invece in vetrina, alla mercé di improvvisati compagni di viaggio, estranei con i quali si condivide in quel momento una sfera molto privata e personale.
Cadono le maschere, crollano le difese, si è esposti, la postura si adatta alla circostanza, l'espressione del viso non è più sotto il vigile controllo che normalmente si ha al cospetto degli altri.
Un momento privatissimo e un contesto decisamente pubblico: ecco cosa mi ha spinto a raccogliere momenti e frammenti di questo ossimoro vivente, che cambia da persona a persona, diverso per ognuno eppure con tratti comuni riconoscibili.
Forse solo in ospedale o nei mezzi di trasporto questa specifica condizione è davvero in atto.
La scelta del bianco e nero è una sorta di minimo comune denominatore, che sposta l'attenzione non tanto sui dettagli (colori, abbigliamento, accessori, contorno) quanto su quello che traspare intimamente dal sonno colto da un estraneo.
Lo smartphone, come strumento da me utilizzato al posto della classica macchina fotografica, introduce un elemento di quotidianità nel contesto, rendendo il momento dello scatto privo di una strutturazione eccessiva e rendendo il gesto più coerente con la fragilità necessariamente presente nel soggetto fotografato.
Elias Canetti scriveva "Non potremo mai più odiare chi abbiamo veduto dormire".
Ecco: vedendo il risultato degli scatti, esplorandone la resa, mi sono trovato spesso a sorridere di empatia per questa fragilità che ci appartiene, che ci riguarda tutti in quanto persone quando si abbassano le difese. Volenti o nolenti.
E ho pensato di fare del 'sonno esposto in movimento' oggetto di un particolare studio artistico, usando questo preciso sguardo sul mio prossimo come fonte di ispirazione per una numerosa serie di scatti, che il mio lavoro qui presentato sintetizza ed evoca.
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