Studio sul movimento
Selfie diventa la certificazione dell’esistenza mediatica.
La tecnologia rapida, alla portata di tutti, senza sedimentazione di pensiero, ha portato all’idea che il racconto della nostra vita debba essere consumato e dimenticato all’istante. In questo modo si è venuto a delineare il primato dell’immagine sull’esistenza, mettendoci di fronte, come scriveva Jean Baudrillard, allo “spettacolo della banalità”. Tutto è diventato visibile, tutto è materializzato nell’immagine; violenza dell’immagine e discredito della stessa crescono paralleli.
Il progetto Studio sul movimento riconsegna all’immagine quel valore indiziale di pseudo presenza o indicazione di un’assenza, che sovverte la sicurezza di una realtà oggettiva, portando alle estreme conseguenze l’affermazione di Minor White, secondo cui ogni fotografia è un autoritratto. Oggetti di uso comune, che indicano una presenza umana di cui rimane solo un’eco nelle immagini, si muovono per togliere l’equilibrio di apparente normalità, in cui la fotografia è usata per aumentare i dubbi e le incertezze. L’autoritratto dell’autore è nella combinazione degli elementi che si muovono nella sequenza delle 5 fotografie, formando una sorta di autoscatto onirico.
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