Ritratti in assenza d'identità
Walker Evans presentò uno studio sulla popolazione americana, intorno agli anni ’30, in cui i ritratti di oltre un centinaio di persone figuravano allineati e suddivisi per blocchi. Una rappresentazione democratica e contemporaneamente rigida, all’apparenza una gabbia che non prevedeva nessuna alternanza di condizioni. La realtà si dimostrava così soggetta a interpretazioni opposte e complementari.
Quando un sistema globale detta regole d’inventario sempre più stringenti, consapevolmente o meno, anche il concetto d’identità scivola verso zone di confine e significato fluide: laddove l’omologazione insiste con maggior forza, con pose e comportamenti codificati, si ha l’impressione di vedere svelate anche molte incongruenze nascoste. Inoltre il digitale, nato per favorire la condivisione in rete, ci costringe a interpretare una sterminata massa d’informazioni che la percezione, quasi meccanicamente, legge ri-arrangiandone il senso. Un po’ secondo quella tecnica che in letteratura è chiamata cut-up, ovvero, taglia e incolla.
In questo progetto seriale le immagini sono state composte in modo analogo, così da creare una sorta di campionario. Qualcosa che ricorda il linguaggio della rete sociale virtuale fatto di profili: sintetiche descrizioni essenziali, facilmente compilabili, strutturalmente simili, nondimeno agevolmente replicabili e falsificabili. Un ambiente forse concepito per la classificazione dell’Io si rivela contemporaneamente terreno congeniale per la sua stessa fuga e re-invenzione. Il lavoro nasce intorno a foto identificative perdute, rifiutate, abbandonate o richieste direttamente e a un’interpretazione soggettiva, quasi divinatoria, di quelle personalità, immortalate in origine tanto neutralmente, fatta attraverso oggetti e testi. Tutto tenuto insieme/disconnesso proprio per mezzo della stessa tecnica del taglia e incolla di cui sopra, o comunque dell’alterazione, della frammentazione, della moltiplicazione: un modo per rappresentare fisicamente e visivamente il meccanismo spesso inconscio di adattamento della realtà che avviene innanzi alle innumerevoli variabili della comunicazione contemporanea. La fototessera, inoltre, il mezzo più comune usato per burocratizzare l’individuo, si sottrae alle stesse regole di cui è l’emblema, mantenendosi in oscillazione tra la presenza e l’assenza dell’identità stessa, tra l’essere sostanza e l’essere rappresentazione. Nella consapevolezza di tale conflitto semantico resiste la vitalità di questi ritratti.
In molte esperienze artistiche note trova riferimento questa serie, a cavallo tra ritratto e still-life, tra fotografia e letteratura, tra realtà e simulazione, perché l’istantanea per sua natura non fornisce verità assolute, piuttosto indica punti di contrasto, ipotesi, relazioni e questioni. Che restano di solito aperte, ma raccontano comunque qualcosa.
“ Guardando il tuo lavoro ci è subito sembrato che l’immagine di quell’uomo somigliasse incredibilmente a quella di nostro padre. Ma, in effetti, non può esserlo.“
Sara e Ilaria
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