23_05_2007

23_05_2007

“Poichè la fotografia è contingenza pura e poiché non può essere altro che quello (è sempre un qualcosa che viene rappresentato) – contrariamente al testo il quale, attraverso l’azione improvvisa di una sola parola, può far passare una frase dalla descrizione alla riflessione - essa consegna immediatamente quei 'particolari' che costituiscono precisamente il materiale del sapere etnologico".
Fin dai suoi inizi la Fotografia si arrogò il diritto di sostenere la verità o, per essere più espliciti, di rappresentare a noi fruitori dell’immagine l’essenza stessa del soggetto raffigurato. Roland Barthes suggerisce che analizzando i dettagli, per esempio facendo attenzione a come qualcuno è vestito o al taglio di capelli, l’immagine fotografica può essere testimone e veicolo di comprensione del mondo che rappresenta. In parole semplici, la Fotografia è strumento etnologico indicizzatore che fornisce l'accesso a ciò che Barthes chiama ‘infra-sapere’.
D'altra parte, sempre secondo Barthes, ”dal momento che ogni foto è contingente (e perciò stesso fuori senso), la Fotografia può significare (definire una generalità) solo assumendo una maschera. Questa è la parola che Calvino giustamente usa per designare ciò che fa d’un volto il prodotto di una società e della sua storia”. L’io e la rappresentazione del sé in spazi pubblici è uno dei più controversi argomenti della sociologia e della fotografia. In che modo la tecnologia e soprattutto i media digitali influenzano il nostro rapporto con lo spazio e la rappresentazione dell’io?

23_05_2007, titolo al quale si riferisce il mio attuale lavoro di ricerca fotografica, prende spunto dalle riflessioni di Roland Barthes in "La Camera Chiara" sulla fotografia in quanto strumento di documentazione. Cosa possiamo imparare in termini di auto-rappresentazione, e in realtà può il "sé" essere pienamente rappresentato da anonime facce e gesti in mezzo alla moltitudine della folla? È mai possibile e anche concepibile estrarre l'essenza di un volto umano dalla rappresentazione fotografica? Qual è l'interazione (se esiste) o chiamiamola piuttosto l'interferenza del fotografo con il suo oggetto? Egli è riconosciuto in quanto tale e quindi aggiunge un ulteriore strato o elemento di disturbo in un’ equazione già di per se complicata?
Avendo realizzato l'intero progetto riprendendo con una macchina semi nascosta - W. Wordsworth: “Egli indossa il suo cappotto di tenebre” (he dons his coat of darkness) - e continuamente in movimento tra una vivace molteplicità (moltitudine?), le fotografie offrono uno sguardo più prossimo e intimo del "volto" della folla. Posta l'inconsapevolezza del soggetto dell' essere fotografato/raffigurato, possiamo dedurre che questa fotografia sia la rappresentazione reale del suo “sé” interiore e più intimo in uno spazio pubblico?

Senza ombra di dubbio il mio rapporto con gli spazi pubblici e la folla è cambiato in maniera considerevole durante le varie sessioni di deambulazione e ripresa fotografica. La mia consapevolezza dell'altro, la mia vicinanza agli altri mi hanno fornito una chiara percezione di me stesso come facente parte di uno spazio pubblico e come persona fisica.

Piace a 2

Commenti 0

Inserisci commento

E' necessario effettuare il login o iscriversi per inserire il commento Login