Il Velo di Iside
La mia opera è una donna interamente velata, , che nasce dalla spuma del mare come una Venere e il tessuto “bagnato” cade su di lei lasciando scorgere le sue forme sensuali.
Il velo che avvolge e cela il suo corpo è azzurro come il cielo, perlato come la luna, con un drappeggio nero e cangiante che le avvolge la vita e arriva fino alla spalla sinistra, per riprendere simbolicamente qualche particolare della descrizione di Iside di Apuleio.
Dalle mani della donna pietrificata si snoda dal tessuto “finto” un tessuto vero e proprio, flessuoso, drappeggiato e che intorno a lei crea una spirale sul pavimento “collegando” Iside allo spettatore .
Il nodo isiaco è come sciolto.
Su quella che dovrebbe essere la tomba di Iside, vicino a Menfi, era stata eretta una statua ricoperta di un velo nero. Sulla base della statua era stata incisa questa iscrizione: “Io sono tutto ciò che fu [QUID FUIT], ciò che è [QUID EST], ciò che sarà [QUID ERIT] e nessun mortale ha ancora osato sollevare il mio velo.”
Sotto questo velo si nascondono tutti i misteri e il sapere del passato. La rimozione del velo di Iside rappresenta la rivelazione della luce e riuscire a sollevare questo velo equivale al divenire immortale.
Il tessuto copre, riscalda, protegge, avvolge, veste, ma traveste. Il tessuto rivela nascondendo e ciò che si nasconde si rende prezioso. La sagoma umana ricoperta dal tessuto è il simbolo dell’allontanamento dal mondo esteriore. Velare significa occultare la realtà, rendere misterioso ciò che si nasconde, in questo caso il mistero della vita, dell’esistere. “Il poeta è colui che vorrebbe rivelare e insieme nascondere, rivelare nascondendo, che è forse rivelare il nascosto. (Piero Bigongiari)”
Velare, s-velare: da sempre il velo è associato alla femminilità o meglio alla nudità femminile, ora come icona esclusiva che evoca il desiderio e la passione, ora come movimento dell’intra-vedere in cui si nasconde e si custodisce la grazia e il mistero delle forme femminili.
Il pensiero occidentale da Platone a Lacan nasce dal movimento triplice di desiderare-vedere-sapere in cui il vedere è costitutivo del desiderio stesso come movimento di uno sguardo che spoglia e penetra, toglie i veli e mette a nudo: il filosofo è amante della Verità che si lascia spogliare e toccare con gli occhi.
La nuda Veritas, infatti, è una di quelle metafore assolute nel cui solco il velo mostra tutto il suo peso: «da accessorio, supplemento, si carica di un potere strutturante e si trasforma in principio ordinatore» . Il nudo velato della Verità si associa alla figura femminile al punto che il trittico desiderare-vedere-sapere si raddoppia in quello femminile-velo-verità.
Il velo colorato di Iside è simile al velo di Maya di cui parla la filosofia indiana. Esso rappresenta le molteplici forme della Natura nelle quali è rivestito lo Spirito. L’idea è che lo Spirito Creativo si rivestì in forme materiali di grande diversità e che l’intero universo che noi conosciamo fu fatto in questo modo, è cioè la manifestazione, sotto forma materiale, dello spirito del Creatore.
Plutarco disse : Iside è il principio femminile della Natura e quello che è in grado di ricevere tutto ciò che è creato; a causa di ciò è stata chiamata “Nutrice “ e “Omni-ricevente” da Platone.
Perciò la veste o velo di Iside è la forma continuamente mutevole della Natura, la cui bellezza e tragedia vela ai nostri occhi lo Spirito. Questo perpetuo gioco reciproco nel mondo manifesto, che comprende gli oggetti esterni, gli alberi, le colline, e il mare, come pure gli altri esseri umani ed anche noi stessi, i nostri corpi, le nostre reazioni emotive, l’intero dramma del mondo, ci sembra possedere una tale realtà assoluta che non pensiamo a metterla in dubbio. Tuttavia in alcuni momenti di particolare intuizione, indotti forse dal dolore o dalla sofferenza o da una grande gioia, possiamo improvvisamente renderci conto che ciò che costituisce l’ovvia forma del mondo, non è quella vera, quella reale, come intuisce ad esempio l’artista.
E’ detto che l’essere vivente viene afferrato nella rete o velo di Iside, e ciò significa che alla nascita dello spirito, la scintilla divina che è in ognuno, fu incorporata o afferrata nella carne.
Anche l’acqua, flusso primordiale, è associata al principio femminile, la sorgente di ogni forma di vita. Sul piano psicologico, l’acqua (popolata da esseri misteriosi) è simbolo degli strati profondi e inconsapevoli della personalità.
La teoria delle facoltà dell’anima nel Rinascimento faceva dell’immaginazione la Veste dell’Anima, come se con la metafora della stoffa si volesse suggerire l’idea che il pensiero crea la propria immagine al di fuori di se stesso e si trasforma nel proprio stesso abito: paradosso della riflessione che va dalla creazione filosofica alla chiusura e al ripiegamento tragico su di sé. In Marsilio Ficino l’anima tesse da se stessa il suo corpo sottile: l’Anima è tessuto e tessitrice. Il principale ispiratore di questa immagine si rivela Platone: nel Fedone più volte ritorna l’argomento dell’anima tessitrice e tessuto.
È il contenuto simbolico di vestire e spogliare, che evocano l’interno e l’esterno del corpo, l’ambito morale e quello materiale, sofisticazione e virtù, menzogna e realtà.
La Bibbia indicava, accanto al bisogno del cibo, quello di avere una “seconda pelle” come protezione.
Se l’arte deve mostrare se stessa come presenza nel mondo, non può rifiutarne il flusso del divenire.
La vita di ognuno è unica, ma è relazionata alla vita degli altri ed esistono tratti comuni dell’esistenza e dell’essere: ognuno si riflette nell’altro e ognuno tende all’eternità.
La spirale, da sempre simbolo cosmico della vita e della fecondità, simbolo della temporalità, della permanenza dell’essere attraverso le fluttuazioni del cambiamento, sia nel mondo organico sia in quello psichico. Questa spirale di tessuto è come un cammino verso la vita, la mia vita, percorsa nel turbino del sogno e dell’Arte, la vita di tutte le donne, è un cammino che contiene ripetizione e evoluzione, che esprime la forza vivificatrice dello spirito umano, che si rinnova senza sosta, effettuando morte e rinascita. In questo senso la spirale, storia e forma, è immagine della vita consapevole della propria profondità, la vita del sognatore, la vita che viene dal principio femminile .
Da Kant ai Romantici, da Kierkegaard a Nietzsche, l’immagine della dea Iside, bella e fascinosa, che con il suo velo e il suo fruscio eccita il desiderio, è assunta a modello perturbante dell’ordine stesso della conoscenza. Chi alza il velo della dea cade a terra senza sensi, come il giovane protagonista del poema di Schiller, L’immagine velata di Sais (1795), il quale, penetrato nel tempio della dea di notte, è preso dal desiderio di vedere la dea.
Per gli Egiziani Yesod era rappresentata dalla dea Iside che regge contemporaneamente la Terra e la Luna; ed era il simbolo massimo di fertilità, intuizione e conoscenza nascosta, ma anche dell'inconscio, dell'ombra e di quello che ci costa riconoscere ed accettare, e per questa ragione era rappresentata da una donna avvolta in veli. Solamente quando siamo capaci di attraversare quei veli possiamo accedere direttamente al sole, alla consapevolezza, all'autorealizzazione e all'armonia.
Velare è l’inganno rassicurante dell’identità.
Pensiamo alla strategia di Nietzsche nel di-svelare come ingannevole l’opposizione binaria che ha retto la storia stessa della metafisica (vero/falso, reale/apparente, bene/male), il quale recupera l’alterità femminile “eccedente” che, coi suoi veli e i suoi giochi di scoprirsi e coprirsi, costituisce il significante sovversivo e ribaltante la medesima opposizione binaria.
Nelle pieghe del pensiero, una trama velata dove l’intreccio tra velo e verità giunge a compimento nella parola Aletheia (svelatezza) che è il luogo indecifrabile del velamento/svelamento dell’Essere che si ritrae mentre si mostra.
La donna rappresenta la natura e la natura è un ricettacolo di segreti proprio come la donna, perché, come suona il celeberrimo aforisma di Eraclito “La Natura ama nascondersi”. Il velo nasconde i misteri della natura. Nel corso dei secoli, l'aforisma eracliteo ha espresso e al contempo influenzato la disposizione dell'uomo nei confronti della natura: a un atteggiamento prometeico (l'uomo deve impossessarsi della natura per domarla e trasformarla) si oppone un'attitudine orfica (solo il poeta o l'artista possono sollevare il velo dei misteri della natura).
In Heidegger Iside ormai è scomparsa, ma l’aforisma eracliteo permane, sebbene completamente trasfigurato: “La Natura ama nascondersi” è diventato “L’Essere ama velarsi”. Domina la consapevolezza che l’”Essere si sottrae mostrandosi nell’essente in quanto tale” poiché l’uomo coglie e si interessa degli essenti, dimenticando l’Essere che li sottende dei quali è il fondamento. Gli essenti sono cose, semplici
cose, sono ciò che appare. L’apparizione in quanto tale è preclusa all’occhio umano, l’Essere si schiude nell’essente, e appunto perciò è velato.
L’Essere è un enigma. Giuliana Iannotti
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Ciao,
Lino
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