Partire/ arrivare in un “territorio”
Lo sanno gli psicotici loro malgrado, fino a essere nelle, dentro le parole (divenire)[“prigionieri delle”]. Essere in, (per uno psicotico) significa parola-suono territorializzarsi con essa, e deterioralizzarla, svuotarla dal significato comune (la parola diviene… è, financo stimolo sessuale, eccitamento; cosa questa impensabile per un non psicotico).
L’incomprensibilità del folle, i discorsi insignificanti passano nel significante della parola, non nel significato. (cosa voglio dire)
Il (grande) poeta è (anch’egli) “preso”, catturato dalla parola. Ascolta gli effluvi di questa, decostruendo un significato significante. Non-parola, parola, pre-significato (il significante agisce da significato). Ossia la parola diviene, ha significato catturante in contesto casuale, in atto combinatorio. La parola “interviene” nel da farsi. Una cosmogonia e geofilosofia dell’accadere. Territorio e parola (un territorio ha una sua lingua e non viceversa).
La questione sarebbe non certo designificare un linguaggio ma rimanere nella comprensione mobile del suo "non-significato", aderire alla cosmologia.
L’arte ha con la parola un rapporto privilegiato come nell’immagine territorializzata che diviene espressione del contenuto originario ponendosi in un piano d’alterità condivisa. L’immagine e la parola vicendevolmente interagiscono in un piano consistente geomantico (termine non riducibile all’atto “divinatorio” ma riferibile all’interdipendenza geofilosofica).
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