La prima volta che ti ho vista

La prima volta che ti ho vista

Fotografia Analogica, Memoria, Ritratto, Analogica, 10x15x1cm
La prima volta che ti ho vista eravamo due bambine. Ultima dopo quattro fratelli maschi ero cresciuta selvaggia tra i campi coltivati con fatica da mio padre e il portico dove mamma si sedeva per prendere la luce ed eseguire al meglio i piccoli lavori di cucito e rammendo per cui era conosciuta in tutto il paese. Prima di sposarsi lavorava come aiuto sarta in un negozio in città con le vetrine grandi e gli interni di velluto. Ogni tanto ci andavamo-nei giorni speciali dove uscire significava caramelle colorate dai barattoli di vetro del negozio della Gina - come in pellegrinaggio, mamma specchiava il suo volto sempre troppo magro e pallido nella vetrina dove troneggiavano manichini dall’espressione severa come vestiti per andare ad un ballo o ad un ricevimento. Credo rimpiangesse la sua vita di un tempo, la gente e le chiacchiere, il movimento delle strade e lo scoppiettio delle macchine: in campagna vivevamo soli, raramente qualcuno veniva a trovarci se non per gli affari di mio padre, per il grano o per l’olio, per la legna o per i pomodori. Ero cresciuta nelle cose semplici, senza vezzi, tra fratelli maschi dai gesti svelti e ruvidi di cui spesso mi ritrovavo i vestiti che scivolavano di figlio in figlio fino a che l’usura non permetteva più questo passaggio di consegne familiari. L’unico privilegio che avevo era che mamma lasciava che solo io mi avvicinassi ai suoi libri custoditi gelosamente dentro un baule chiuso a chiave. Erano stati una specie di eredità di una qualche zia di Roma, attrice a quanto pare. Erano arrivati un giovedì di novembre, io me lo ricordavo appena, insieme ad una lettera con un sigillo rosso. Solo a me era concesso toccarli e tenerli tra le mani e poi-appena imparato a leggere- di perdermi tra le righe ed i mondi, tra le storie ed i nomi. Era l’unica complicità tra me e mia madre, una specie di segreto tra donne in quella casa di maschi e di fatiche. Quel primo amore di carta mi ha segnato l’intera esistenza, amore ancora più desiderato perché esclusivo, concesso solo a me.
Avevo un libro tra le mani quel giorno, “Il conte di Montecristo”. A scuola nessuno si era mai interessato particolarmente a me, ero considerata strana per quel mio essere solitaria e taciturna, poco avvezza ai giochi e agli scambi … io me ne stavo sempre in disparte persa tra le pagine come una regina tra i suoi abiti lussuosi. Tu ti sei avvicinata e mi hai chiesto cosa stavo leggendo con così tanta attenzione da non accorgermi di nulla intorno a me … delle urla nel cortile, di Primo che stava picchiando Andrea, delle bambine che lanciavano sassi giocando a campana. Ho alzato gli occhi stupita dal fatto che qualcuno potesse interessarsi a me. Le tue lentiggini, i capelli color rame e quella tua bocca rossa come una ciliegia. Mi sono sentita i tuoi occhi dentro.
E’iniziata così. Tanto tempo fa ormai. Ti ho amata da subito come tu fossi stata un libro. Negli anni abbiamo intrecciato storie scavando una nicchia nella parete di pietra del mondo. Nessuno ha fatto caso a noi per un po’. Poi – ed era troppo tardi per scollare la rilegatura delle nostre pagine- noi non abbiamo più fatto caso a nessuno. Alle voci malevole, ai tentativi di allontanarci.
Oggi, ti aspetto. All’entrata del giardino. C’è voluto un po’ per organizzare ogni cosa. Ma noi , abituate agli intrighi della letteratura, abbiamo stemperato l’ansia di una decisione estrema con il gioco del costruire una trama perfetta in tutte le sue parti. Ci vuole un piano, ci vuole sempre un piano. Per la fuga l’amore la vendetta. Come il conte di Montecristo. Ho addosso il frac preso di nascosto dall’armadio di mio fratello, prezioso dono di matrimonio di mia madre, confezionato dalle sue abili mani. Ho tagliato i capelli, fasciato i seni con bende di cotone. Il mio corpo esile in un abito da uomo fa di me uno sbarbato giovanotto. Ti aspetto. Così daremo meno nell’occhio … del resto dove mai potrebbero andare due donne sole?
Alzo gli occhi dai miei pensieri. Ti vedo arrivare, gli stessi capelli color rame di quel giorno. Mi sorridi.

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