Zora e Lisa

Zora e Lisa

L’angelo dei tetti di Aarau
Avevo 4 anni allora, eppure non dimenticherò mai quel giorno, il primo di primavera: da allora fummo inseparabili. Lei aveva questo corpo rotondo, quella morbidezza liscia contro cui mi adagiavo per sentirmi rassicurata. Proprio quel giorno Max ci fotografò!
Mi avevano battezzato Zora, ero stata tanto desiderata. Ero cresciuta immersa in un’atmosfera di amore totale, eppure quando passeggiavo, sentivo un vuoto che mi assaliva: qualcosa, nella mia vita, mancava. Guardavo i bambini che giocavano a rincorrere la palla. Desideravo unirmi a loro. La mamma mi tratteneva, io ero “diversa”, non potevo parlare, la mia voce era distorta somigliava ad un grottesco latrato. Per timore che io mi sentissi respinta, venivo tenuta alla larga da chiunque avrebbe potuto fraintendermi e quindi ferirmi. Passando sotto la grande Fontana della Fortuna, nella piazza di Aarau, dove abitavamo, guardavo i tipici tetti a capanna dipinti dei palazzi della città, cercando di scorgere gli angeli che riposavano dopo aver passato la notte a mettere a posto le stelle del cielo, come la mamma mi raccontava nei pomeriggi di pioggia, quando non potevamo uscire. Nelle mie preghiere, chiedevo loro di farmi trovare un’amica, qualcuno con cui poter giocare, con cui dividere la stanza, con cui essere complice. Qualcuno che mi desse una possibilità, con cui le parole non fossero necessarie. Qualcuno che non si lasciasse intimorire dalla mia “diversità”.
Avevo 4 anni allora, non dimenticherò mai quel giorno, il primo di primavera. Avevo il permesso di restare nella piazza, mentre la mamma comperava nell’emporio, a patto che non mi allontanassi. Mi parve di scorgere un angelo che dai tetti volava verso il fiume e senza pensarci lo seguii. Fu un attimo e ne fui certa: un angelo mi spinse, caddi nell’Aar e cominciai a dimenarmi chiedendo aiuto, ma quello che ne scaturì fu un verso spaventoso. Nella confusione vidi volti che mi osservavano, bloccati da quello che sentivano fuoriuscire dalla mia bocca. Picchiai la testa e non riuscii più a nuotare. Allora la vidi che si buttava in mio soccorso, determinata a salvarmi, noncurante del pericolo. Mi afferrò e in un attimo fummo a riva. Ci guardammo intensamente, lei sorrise. Ci sdraiammo bagnate e sporche l’una accanto all’altra. In un attimo fu tutto chiaro: non ci saremmo più lasciate. Arrivò la mamma spaventata, che mi abbracciò. Prese Lisa fra le braccia – questo era il suo nome - la accarezzò e la asciugò affettuosamente. Capimmo che non aveva una famiglia: andammo in orfanotrofio e chiedemmo di poter portare a casa quella bambina bionda, sorridente e morbida. Gli angeli dei tetti avevano esaudito il mio desiderio: avevo trovato un’amica che non si lasciava intimidire dai miei latrati, dal mio aspetto feroce e dalle mie orecchie a punta. La nostra vita fu ricca di bellissime avventure: Lisa divenne una scrittrice e si sposò. Molti anni dopo, quando io già la vegliavo come un angelo dei tetti, diede il mio nome alla protagonista di uno dei suoi libri.

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