La promessa di matrimonio

La promessa di matrimonio

Fotografia Analogica, Memoria, Ritratto, Analogica, 20x32x1cm
La promessa di matrimonio

Quel giorno mi aveva dato appuntamento in quel parco.
"Signorina gradirei incontrarla al Parco della Vittoria alle 14 di Martedì prossimo"
Il bigliettino tra le pagine del mio spartito, grafica da dottorino su un pezzo di carta di
lino. Lui era un lontano cugino in visita a casa nostra per un mese.
Motivi familiari. Me ne ero innamorata subito.
Avevo inanellato tremila sospiri intorno alla mia collana di perle.
Sembrava ritagliato da una di quelle riviste sui divi del cinema che portava a casa mio
padre dai suoi viaggi a Roma.
Ci siamo incontrati accanto alla quercia.
Quella che fa solletico alla statua della Ninfa amputata.
Accanto al laghetto tutto pesci incredibilmente rossi.
Lui non riusciva a sorridere. Era bianco come la Ninfa. E tremava.
Era vestito elegante. Ma le scarpe mi sembravano troppo grandi per lui.
Forse stava facendo il passo più lungo della gamba?
Io mi ero preparata davanti alla mia toilette.
Cipria di riso e rossetto rosso. Uno sputo languido nella tavoletta del mascara.
Il mio vestito di seta verde come le acque sfocate di un sogno.
Mi sentivo bella. Ho indossato il mio cappello di Parigi e sono uscita.
Mia madre sapeva della lezione di pianoforte. O faceva finta di sapere.
Alla fine questo matrimonio sarebbe convenuto ai miei. Lui era ricco. Buona posizione. Ottime referenze. "Cugino le mancano i suoi familiari?"
Avevo detto io dopo uno sguardo incerto e incerti gesti di imbarazzo davanti al suo
silenzio strano. "No". E fu l'unica parola che pronunciò quel giorno.
Io ero arrabbiata. Mi aspettavo una dichiarazione.
Come quelle da cinematografo. O comunque mi aspettavo delle parole.
Non quell'imbarazzante e inutile silenzio. Il mio amore svanì. Evaporò.
Il tempo di sgualcirmi il vestito di seta nell'attesa di una sua proposta matrimoniale
seduta sul bordo di marmo della fontana.
Rimanemmo seduti così, silenziosi, un tempo interminabile, l'uno accanto all'altro.
Silenziosi come le querce intorno. Come i pesci rossi. Come la ninfa rotta.
A interrompere il nostro silenzio un signore tutto mustacchi e gote rosse.
"Scusatemi signori. Sono Attilio Gabriellini. Sono un fotografo. Ho il mio studio proprio
qui davanti all'uscita del parco. Vi posso chiedere la cortesia di posare per me?"
"Si" La mia risposta secca. Stridula da apnea.
Ci siamo messi come ci indicò il fotografo. Io ho avuto solo il vezzo di puntare la punta del piede. Ero abituata a posare. Mio fratello era un pittore. Avevo interpretato tante madonne per lui. Io e mio cugino non ci siamo mai guardati.
Il fotografo sistema la sua dagherrotipo a soffietto e prima di infilare la testa sotto al
panno dice: "Gentili signori perché così seri? Non morde la macchina."
Poi mio cugino è partito. Tornato a Torino. Credo dopo pochi giorni.
Io ero così delusa che non gli rivolsi più parola e comunque lo evitai per il resto della sua
permanenza a casa nostra. Gli anni sono passati.
Io mi sono sposata. Ho avuto tre figli. Non ho più pensato a lui.
Solo oggi ho trovato questa foto. Dietro la dedica. "22 Marzo 19…(data non leggibile)
alla sig.na Bianca e al sig. Umberto
Alla coppia più bella di quest'Italia in primavera,
Con l'augurio di Felicità e Amore Eterni,
Attilio Gabriellini"

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Commenti 2

alessandra baldoni
11 anni fa
Grazie Emilia;)
emilia rebuglio
11 anni fa
emilia rebuglio Artista
Tutto meraviglioso. A volte tragico, a volte solo triste ma coinvolgente ed indimenticabile. Grazie Alessandra.

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