La carta ci lega più della corda

La carta ci lega più della corda

Fotografia Analogica, Memoria, Ritratto, Analogica, 9x12x1cm
La carta ci lega più della corda
Ti sei fermata appoggiandoti alla parete. Scale. Solo scale sopra di te e sotto di te. Io ti guardo, dal basso come un suddito guarda la regina.
Togli il mio volto dalle foto, taglialo con una forbice dalla lama lucida e certa dove tu possa specchiare i tuoi occhi e le tue brame. Mettimi via. Prendi le mie cose, radunale come fosse un rituale, nascondile in una scatola che non desti sospetti e poi riponimi in una soffitta polverosa – tra i fantasmi dai conti in sospeso con la terra- o in una cantina umida e scura insieme ai topi. Fammi ammuffire, che io prenda l’odore della carta marcia, delle mura sudate, di una vita guasta. Tu setaccia la casa, fai il censimento delle cose, che niente ti sfugga… la svista di adesso sarà la malinconia di domani. Non dimenticarti di nulla, non fare ostaggi, fai saltare i ponti. E non tornare indietro. Mai.
Lo sapevo. Come un rubinetto che perde una goccia insistente e feroce e che toglie il sonno, così da mesi mi agitava dentro una sensazione stridente e fastidiosa. In fondo i presentimenti sono la verità, la ragione e l’abitudine ci portano fuori strada. Nell’ordinario. Invece le cose non sono mai dove noi pensiamo di averle riposte. Le cose accadono per rompere gli equilibri che noi crediamo di governare.
Quella sera a teatro ho capito quale era il dramma che il destino stava mettendo in scena per me. Nell’intervallo, mentre io parlavo intrattenendo relazioni e imbastendo affari, lui si è avvicinato e vi siete guardati un breve istante. Tu eri alle mie spalle, in disparte, e non me ne sarei accorto se il primo ministro non avesse espresso il desiderio di un calice di champagne ed io non mi fossi offerto di prenderlo per me e per lui. Girandomi vi ho visto. Lo sguardo della passione, quello sguardo che incenerisce l’aria. Lui si è avvicinato e ti ha sfiorato la mano quasi accidentalmente infilandoti un piccolo biglietto tra le dita. Ho capito tutto, ho rimesso al loro posto i segni e le circostanze che parevano stonate. Non mi hai mai guardato in quel modo.
Poi sono stati mesi di bugie, sotterfugi. La mia ira, la tua lontananza. Ho provato ogni cosa, dalla comprensione alla ferocia. Tu l’amavi, amavi lui- il poeta. Mi tornarono a mente le parole di mia madre che dopo averti conosciuta mi disse: “Questa donna ti farà soffrire, ha quella bellezza infausta che si nutre solo di se stessa.” Io avevo fatto il possibile, soddisfatto ogni tuo capriccio, assecondato ogni richiesta. Ma tu amavi lui, le sue parole, le sue carte scritte fitte. Lui che non aveva neanche un decimo di quello che avevo io, lui che possedeva solo parole. Ho capito che non vi è veleno più efficace, le parole sono serpenti incantatori.
Sono sfinito, ti perdo e sono sfinito. L’ennesima lite rientrando a casa. Sulle scale ti ho chiesto se lo vedevi ancora. Tu ti sei fermata, appoggiata al muro e hai guardato fuori dalla finestra senza parlare. Ironia della sorte avevo nella tasca del cappotto una macchina fotografica, venivamo da una festa. Ti ho scattato una foto. Allora ti sei voltata verso me con un’espressione tra lo stupore e il fastidio.
Mi sono girato sui miei passi. Me ne sono andato. Da quel giorno non sono rientrato in casa né ti ho più rivista. Ho lasciato la città, ora vivo in campagna. Ho resistito ad ogni tentazione di cercarti o di sapere.
Tengo la tua foto nella tasca. È il mio monito, il mio veto. L’istantanea di quel dolore senza ritorno.

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Commenti 1

giulio micheletti
11 anni fa
fantastica

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