Sei in pericolo

Sei in pericolo

Fotografia Analogica, Memoria, Ritratto, Analogica, 25x30x1cm
“La parola è un virus venuto dallo spazio”. W.S.Burroughs
Sei in pericolo
Stanotte ho rifatto quel maledetto sogno. Io lo ricordo bene quel giorno. Siamo in posa. Papà è sull’altro lato della strada, scatta la fotografia del tuo undicesimo compleanno. Carlo e Marianna fissano un luogo indefinito oltre la siepe, mamma ti aggiusta il cappello e le zie intimidite quasi fuggono all’obiettivo. Siamo tutti in fila, pronti. – Pronti - dice papà - guardate l’obiettivo, ora scatto, scatto - Inizia una specie di conto alla rovescia, ad ogni numero Marianna recede di un passo, tre, poi due, uno. La vedo allontanarsi, alle sue spalle c’è il muro della nostra casa di famiglia, la vecchia casa dove ora vivi tu. La vedo allontanarsi e un brivido mi corre lungo la schiena. Quando si allontana e non la vedo, quello è il momento che ho più paura. Il momento peggiore, perché vuol dire che sta per farmi qualcosa, come quella volta che si è nascosta per ore nella mia camera, e poi mi ha sorpreso da sola e chiuso nell’armadio, con la chiave. Ti giuro, non ho detto nemmeno una parola alla mamma. Non ho detto niente. Ma non mi hai creduto, tu non mi hai mai creduto, neanche Marianna mi ha creduto. Lasciami dire, le parole mi affiorano alle labbra come una febbre oggi, è il giorno della verità. Oggi che compio l’ultimo dei miei anniversari, a quattro anni mentre gioco in fondo al pozzo aspettando che tu venga a prendermi e ritirarci in casa prima del buio della sera. Ma stavolta non sei venuta, e le parole mi salgono come le lacrime a sporcare questa pagina. Forse hai ragione tu, nessuno mi vuole bene. Forse hai ragione, è giusto che io debba scomparire, rimanere qui, al buio.
Mi sveglio all’improvviso. Mi guardi, mi stai fissando con quell’aria cattiva che hai quando vuoi farmi male, come nella foto: mi dici: -nessuno ti vuole bene, sarebbe meglio se morissi.. - mi tieni strette la braccia e io non posso muovermi. C’è anche Marianna, ha una smorfia fissa al posto del sorriso, mi tenete stretta, mi trascinate via dalla stanza, via dalla casa. Sto al gioco, non dico niente, ti arrabbi sempre quando urlo. E allora ti seguo lentamente, in silenzio, ho una lacrima piccola piccola che mi scende pigra sulla guancia. Dove mi portate? Dove? Poi mi sollevate e mi scaraventate in fondo, in un posto stretto e buio, e non sento più niente, ed ho questo dolore forte al petto, vicino al cuore, ma non ci faccio caso. E ho questa specie di lettera tra le tue mani, tre parole soltanto, ma riconosco soltanto le vocali, tre ‘i’ e le ‘o’ che sono tutte rotonde, per il resto non so leggere, non so cosa c’è scritto.
Ti chiamo per nome, ma stavolta fai finta di non sentirmi, non vuoi sentirmi. Allora chiamo il nome di Carlo, perché so che lui mi verrà a prendere. Lui viene sempre a prendermi. Sono sicura che verrà. Sono qui, di fronte a casa, tra il recinto e il vialetto. solo un po’ più in basso, sotto la superficie della terra, se accosti l’orecchio all’erba puoi ancora sentirmi.
Dicono che i morti sanno tutta la verità, che la verità appartiene alla morte, questo dicono. Tu capisci quello che dico, vero? Si, ogni volta che vieni a prendere l’acqua, nel pozzo.
Oggi, dopo tanto tempo, sono tornata a casa. Hai spostato tutti i mobili, e anche i tuoi capelli sono diversi e mi sembri più alta. Lì per lì non ci ho fatto molto caso, ma avevi indosso un vestito elegante che non ti avevo mai visto e sembravi una gran signora con i capelli corti e un grosso anello all’anulare sinistro. Deve essere nuovo, un regalo, non fai altro che guardarlo, ti s’illuminano gli occhi. Sono tornata per dirti che è venuto Carlo, mi aveva cercato tanto, mi ha trovato finalmente. L’ho supplicato di non dire nulla alla mamma, sono sicura che non dirà niente. Ha fatto croce sul cuore. Mi ascolti? Nessuno dirà niente alla mamma. Ma tu non mi hai sentito nemmeno stavolta. Non mi hai risposto.
Nemmeno una parola
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